“Ultima fermata”: l’abbandono della Avellino-Rocchetta raccotato in un film. L’esperienza sul set di Armando Marano.

(servizio pubblicato sul Corriere-Quotidiano dell’Irpinia di lunedì 14 ottobre 2013)

La trama del film.

Lungo i binari di una linea ferroviaria dismessa si snoda il viaggio di un uomo alla scoperta si sé, delle proprie origini e dell’amore”

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(le riprese al Corso di Avellino)

E’ la storia di alcune generazioni di uomini e donne, le cui vite sono state scandite dai passaggi di una linea ferroviaria, presto entrata nel mito e nella leggenda di una terra del Sud. Un treno che a partire dal secolo scorso ha assistito come muto spettatore a partenze e arrivi, amori e abbandoni, gioie e dolori di intere famiglie. Alcune partite per andare lontano, in cerca di fortuna, altre rimaste per onorare un giuramento con la propria terra. Francesco Capossela,capitano dell’Arma a Torino, torna nel sud in occasione dei funerali del padre Domenico, capotreno della tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta S.Antonio, oggi definitivamente ferma, in attesa dell’ormai inevitabile decreto di chiusura. Qui, lentamente e inconsapevolmente, prende coscienza di sé attraverso la scoperta di un diario segreto che il padre, in vita, aveva redatto e scritto. Francesco incontrerà un simpatico e zoppicante ferroviere nella solitaria stazione di Rocchetta, un profetico frate cieco nell’antica abbazia del Goleto, un comunista senza più patria a Lacedonia, un prete bizzarro e chiassoso a Morra De Sanctis, un musicista per passione a Calitri, un malinconico cinematografaro a Cairano.

La troupe e il cast.

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(una fase delle riprese a Montefalcione)

Ultima fermata

Un film scritto e diretto da Gianbattista Assanti

aiuto regia: Margi Villa Del Priore – Leopoldo Pescatore

Direttore della fotografia: Dario Germani

operatore: Cristiano De Vincenzi

Fuochista: Eduardo Milanese

assistente macchina: Marzio De Cristofaro

Fonico: Emiliano Locatelli

Assistente fonico: Armando Marano

segretaria di Edizione: Federica Gentile

segretaria di produzione: Maria Del Mastro

1° macchinista: Umberto Amato

2° macchinista: Domenico Del Mastro

3° macchinista: Gaetano Assanti

elettricista: Francesco Carbonaro

parrucchiere di scena: Felice D’Anna

truccatrice: Lorenza Starita

costumista: Annabella Donnarumma

scenografo: Massimiliano Accetturo

fotografo di scena: Giovanni Iavarone

Attori principali:

Claudia Cardinale

Nicola Di Pinto

Luca Lionello

Francesca Tasini

Sergio Assisi

Maurizio D’Agostino

Salvatore Misticone

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(la troupe in una fase delle riprese) 

Il racconto di Armando Marano.

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(Armando Marano interpreta il ruolo di un carabiniere)

Tra lo staff tecnico – interamente irpino – della produzione di “Ultima fermata”, il film di Giambattista Assanti sulla ferrovia Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, c’è il pratolano Armando Marano, che ha lavorato come fonico di presa diretta.

E’ dunque, il suo, un racconto dall’interno di un’esperienza che il giovane musicista dei Pratola Folk non esita a definire «straordinaria sul piano professionale, ma ancor di più sul piano umano».

«Tutto è iniziato – racconta Armando – con la partecipazione ad un laboratorio sulla cinematografia organizzato dalla Nuct di Roma; da quella esperienza ho legato sempre più con loro, e in particolare con Marzio De Cristofaro di Torre Le Nocelle: un’opportunità che mi ha portato a partecipare alla realizzazione di diversi cortometraggi e che mi ha fatto crescere molto professionalmente».

Una crescita che ha visto il salto di qualità proprio con la partecipazione di Armando alle riprese di “Ultima fermata”.

«Assanti mi ha voluto nel cast tecnico nonostante la mia poca esperienza, e mi ha sempre incoraggiato, offrendomi un’opportunità eccezionale».

Il racconto di Armando segue il filo dei ricordi delle scene girate a Rocchetta, a Cerignola, alla stazione di Montefalcione, al corso di Avellino.

«Un’eccezionale esperienza spostarsi da un luogo all’altro: eravamo 30-40 persone a muoverci. Ogni luogo nel quale abbiamo girato le scene era legato a qualcuno dello staff, e questo ha contribuito ad accrescere in ognuno di noi il dispiacere per la perdita enorme che rappresenta la dismissione di questa ferrovia».

A Montefalcione Armando ha recitato nel ruolo di un carabiniere impegnato in un posto di blocco proprio al centro del paese.

«Si sono fermate un sacco di macchine pensando che si trattasse un posto di blocco vero – racconta –

la cosa divertente era nel fatto che io conoscessi molte di quelle persone, mentre loro non mi hanno riconosciuto: ci siamo fatti un sacco di risate».

La storia della “Avellino-Rocchetta Sant’Antonio” è diventata patrimonio comune di tutto lo staff e degli stessi attori.

«Ho letto la sceneggiatura del film e sono davvero entrato dentro questa storia».

Ad appassionarsi alla vicenda malinconica della chiusura della “Avellino-Rocchetta” non sono però soltanto i componenti irpini dello staff che in un certo senso sentono come propria quella vicenda.

Armando ci porta sul set, facendoci scoprire retroscena che fanno comprendere l’importanza e il valore del film.

«E’ stato emozionante vedere come Luca Lionello si sia legato fortemente a questa storia: ci ha sempre spronato e motivato, talvolta sostituendosi al regista, comportandosi come un irpino. Da romano verace che è – racconta Armando – sul set si trasformava in un vero personaggio della nostra terra».

Durante le riprese alle quali Luca Lionello ha partecipato girando tutti i paesi toccati dalla storia e dalla troupe, Armando Marano ha stabilito proprio con l’attore romano che interpretò il ruolo di Giuda ne “La passione di Cristo” di Mel Gibson uno speciale rapporto.

«Eravamo seduti vicini al tavolo ai pasti, e ho vissuto da vicino il suo coinvolgimento nel vivere ogni fase delle riprese. Spesso è capitato anche che ci rimproverasse, ma poi finiva tutto con una battuta o un consiglio».

La frequentazione di Armando con un attore che ha lavorato con una star hollywoodiana come Mel Gibson è stata anche l’occasione per scoprire aneddoti e particolarità legati al regista australiano.

Un altro attore con cui Armando ha vissuto un rapporto di cordialità dopo l’istintiva timidezza è stato Nicola Di Pinto, uno dei protagonisti de “Il camorrista” di Giuseppe Tornatore, regista con il quale Di Pinto ha vissuto la magica esperienza di “Nuovo Cinema Paradiso”.

«Sul set di Rocchetta l’ho riconosciuto subito – dice Armando – e in verità ero timoroso di chiedergli un autografo o una foto da fare insieme, ma poi si è rotto subito il ghiaccio».

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(Armando Marano con Luca Lionello, il “Giuda” della “Passione di Cristo” di Mel Gibson)

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(Armando Marano con Nicola Di Pinto, “Alfredo Canale” ne “Il camorrista” e tra gli interpreti del Premio Oscar “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore)

Chi è Armando Marano.

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(Armando Marano al lavoro sul set)

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(un’altra immagine di Armando Marano impegnato durante le riprese)

Armando Marano, 35 anni, è presidente e componente dell’associazione musicale Pratola Folk, che ha alle spalle 40 anni di musica irpina, con cui ha inciso 3 cd: “Pratola Folk live” (2003), “Compari e comparielli” (2006), “E’ n’ammuina” (2010). Nel gruppo, oltre a suonare la fisarmonica e cantare, è il fonico live e in sala di registrazione.

È componente da 11 anni della compagnia teatrale “Teatro nel Teatro” di Pratola Serra con cui ha messo in scena tantissimi spettacoli d’autore e tanti altri inediti: oltre al ruolo di attore si occupa della regia tecnica.

Nel 2010 ha partecipato al corso di cinematografia ad Avellino “Irpinia NUCT lab” tenuto dalla scuola di cinematografia NUCT di Roma, dove ha imparato le tecniche di presa diretta.

Sempre nel 2010 ha scritto, diretto e interpretato un lungometraggio dal titolo “Un amore in comune” e ha realizzato insieme al gruppo “Pratola Folk” la colonna sonora del film.

Nel 2011 è stato aiuto regista e fonico di presa diretta del film “La seconda vita” di Modestino Di Nenna nel cui cast figurava anche Giancarlo Giannini.

Nel 2012 ha girato, sempre come fonico di presa diretta, un lungometraggio dal titolo “Video in the World” prodotto dalla BBFilm

Attualmente sta girando in Irpinia un nuovo lavoro del regista Di Nenna, “Le meraviglie dell’amore”, con il ruolo di fonico di presa diretta; anche questo lavoro prevede prestigiose presenze nel cast artistico.

Libertà, democrazia, partecipazione.

La democrazia non è solo questione di voto: è questa la sintesi del confronto fra Eugenio Scalfari e Massimo Cacciari tenutosi a Venezia nell’ambito dell’ultima edizione de “la Repubblica delle idee”.

A prima vista, quella del sindaco filosofo può giustamente apparire un’affermazione di buon senso, e altrettanto consenso sollecita la considerazione del fondatore di Repubblica: «la democrazia non si esaurisce nel voto, ma ha bisogno della partecipazione».

Scalfari e Cacciari partono dalla democrazia dell’antica Grecia per giungere alla conclusione che l’Europa non può diventare un tutt’uno ma deve conservare le identità storico-culturali degli stati nazionali all’interno di una Federazione di stati.

A un certo punto il discorso deve essere sembrato astratto agli stessi protagonisti, se Scalfari ha sentito l’esigenza di calarlo in una dimensione alla portata dei comuni mortali, affermando che «il Comune, il municipio nelle metropoli, è il punto in cui si realizza al meglio la partecipazione, mano mano che si sale si può avere solo una democrazia indiretta».

E’ proprio mettendo a confronto due modelli di elezione dei rappresentanti tanto distanti come quelli per il Parlamento europeo – sistema proporzionale puro, collegi vastissimi e possibilità di doppia preferenza – e per i consigli comunali – il top del maggioritario, il minimo dell’ambito territoriale e preferenza unica – che ci si rende conto del punto debole di queste e altre discussioni: vedere le cose – la democrazia, la partecipazione, il concetto stesso di libertà – dal punto di vista dell’elettorato attivo.

I succitati sistemi elettorali – considerati nelle loro modalità di espressione del voto e di quantità e qualità della rappresentanza – riescono a soddisfare i requisiti di democrazia, partecipazione e libertà basandosi soltanto sul criterio del suffragio universale?

No, certo che no; e davvero poco o nulla hanno detto in merito a questo vulnus i fiumi d’inchiostro versati a proposito di astensionismo, disaffezione dalla politica, scarsa capacità delle attuali classi dirigenti: tutto vero, ma già siamo alle conseguenze di un sistema malato di poca e cattiva democrazia e di molta e inutile partecipazione all’elettorato attivo.

Dove sta, allora, il virus, e come isolarlo?

E’ un ragionamento comprensibilissimo per l’elezione dei parlamentari europei e coerente con quanto avviene per l’elezione dei sindaci e dei consiglieri comunali.

La domanda non è tanto “chi sceglie i candidati?” quanto “quali sono i requisiti per essere candidati?”.

L’aberrazione del “Porcellum”, che demanda alle gerarchie di partito il compito di “nominare” i parlamentari è addirittura peggiorata nelle competizioni aperte alle preferenze come quelle per l’elezione del Parlamento europeo e dei consigli comunali.

Tanto per muoversi in collegi che vanno da Reggio Calabria a Napoli a Taranto, tanto per destreggiarsi fra rioni e mercati cittadini (o addirittura di paese) il requisito fondamentale è identico: la disponibilità di risorse finanziarie.

Che si tratti di allestire comitati elettorali contemporaneamente in Sicilia e Sardegna o di offrire cene e pizze a supporter del proprio paese – e di organizzare squadre di attacchini e di mezzi itineranti con gigantografie – qualunque persona dotata di buon senso, intelletto e magari anche onestà ed ottime idee non può neanche immaginare di entrare davvero in competizione con candidati sponsorizzati o dotati di mezzi propri, se sprovvisto di una base finanziaria capace di rispondere al ricevimento in hotel o nel ristorante di nome del concorrente con un presenzialismo televisivo a colpi di messaggi autogestiti, oppure di avere nella propria segreteria squadre di attivisti entusiasti privi dell’assillo di una fastidiosa sveglia mattutina.

Certo che ha ragione Cacciari, quando dice che « la democrazia non è solo questione di voto»! E come non applaudire Scalfari quando invoca la partecipazione?

Ma partecipare è votare o candidarsi?

Il primo esercizio è gratuito – talvolta addirittura retribuito – mentre l’efficace ed effettiva realizzazione del secondo molto, molto onerosa.

E’ intorno a questo “virus” che si dovrebbero sviluppare confronti e dibattiti, congressi e campagne elettorali.

Al valore “una testa un voto” dovrebbe corrispondere davvero l’altrettanto indispensabile valore di competizioni elettorali giocate in condizioni di assoluta parità di mezzi e opportunità per tutti i candidati.

L’anomalia italiana legata alla presenza sul palcoscenico nazionale di un tycoon televisivo ha ridotto tale dibattito a una normativa sul divieto di spot elettorali in campagna elettorale, norma puntualmente aggirata da presenze in programmi televisivi che niente hanno a che fare con la politica e spesso finanche con l’informazione.

Volando alto, anzi altissimo, Eugenio Scalfari pone due precise domande retoriche: «Pericle  è ancora raccontato nei libri di storia come il simbolo massimo della democrazia greca, madre di tutte le democrazie. C’era partecipazione nel popolo di Atene? Sicuramente no, e questo può bastare a dire che non c’era democrazia?».

Da Atene a noi, da Pericle ai tanti “berlusconi” di oggi, sono ancora queste le domandi da porsi, sono ancora i valori della partecipazione al voto o al dibattito politico e del consenso liberamente espresso ad essere in gioco?

Il punto non è quanto vantaggio acquisisca un candidato molto ricco nei confronti di un altro con minori disponibilità finanziarie, quanto piuttosto se davvero possa definirsi una democrazia quella in cui vige un sistema elettorale “sostanziale in cui all’aspirante povero o nullatenente – per quanto ricco di onestà, competenza ed idee – è addirittura preclusa la tanto citata – da Scalfari – partecipazione; ma evidentemente Scalfari si accontenta della partecipazione all’elettorato attivo – comodamente sintetizzabile in un dato percentuale – o magari di quella a forum e convention, per non dire di quelle a scioperi, manifestazioni e primarie.

Per l’elettorato passivo le qualità dell’aspirante candidato dovranno necessariamente spostarsi dalle capacità politiche di tenere un comizio, scrivere un programma, rapportarsi all’elettorato a quelle più propriamente manageriali di raccogliere fondi, trovare sponsor e catturare l’attenzione delle lobbies.

Si riduce davvero a questo la democrazia? E’ tutta qui e la libertà?