C’è ancora domani: un film da Oscar

L’esordio di Paola Cortellesi alla regia regala una vera e propria perla agli appassionati di quel cinema che racconta la grande storia attraverso ritagli di vita quotidiana e comune facendo diventare protagonisti di grandi eventi personaggi “minimi” e imperfetti. “C’è ancora domani” ha diverse caratteristiche in comune con film italiani premiati con l’Oscar come miglior film straniero: il richiamo al neorealismo (non solo per la scelta del bianco e nero ma soprattutto per l’ambientazione nell’immediato secondo dopoguerra) del Vittorio De Sica di Sciuscià” e Ladri di biciclette”; la stessa leggerezza nel raccontare la complessità di un Paese e di un popolo sconfitti che già caratterizzò “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores. Ma queste “assonanze” sono soltanto un valore aggiunto a una storia che fa della suggestione e dell’emozione i suoi motori propulsivi. Sul piano narrativo, Paola Cortellesi vince alla grande una sfida che lei stessa si impone attirando lo spettatore in una sorta di gioco, cioè costruendogli intorno una “gabbia” fatta di stereotipi e finali scontati: mentre infatti assiste a una storia che genera rabbia e trepida quanto furibonda attesa di una vendetta che equivale a un riscatto, l’autrice semina quasi perfidamente indizi e dettagli pressoché impercettibili che preparano il finale sorprendente e spiazzante. Alla collera per una vicenda di ordinaria volenza domestica e di scontata povertà di una famiglia popolare di una Roma ancora sotto tutela dei soldati americani, si unisce la consapevolezza che la “perdizione” sia l’unica “arma” nelle mani di una donna rassegnata alla sconfitta dalla mentalità dominante, che sia quella dei ceti popolari, della nuova borghesia di “burini” arricchiti dalla borsa nera e anche quella di facoltosi “signori” che si atteggiano a nobili.

La donna madre, la donna serva ostaggio del marito e pure del suocero, la donna che si fa in quattro per portare qualche soldo a casa e i cui sacrifici non vengono mai apprezzati, la donna senza diritti, la donna senza difese e che non vuole difendersi, incapace finanche di prendere in considerazione l’offerta di aiuto della “autorità costituita”, un soldato di colore americano, e quando si deciderà a farlo sarà a beneficio della figlia, la donna che per salvarsi non ha che una strada: fuggire, magari con l’uomo che è stato l’amore della sua gioventù e che ora le appare premuroso, protettivo, affidabile (ma domani?); in questa gabbia di luoghi comuni la regista trova comunque modo di inserire temi più vicini ai nostri tempi come il conflitto generazionale madre/figlia o i salti sociali tramite matrimoni che inevitabilmente hanno un destino – per la donna – già tracciato e fin troppo riconoscibile agli occhi di chi ora scorge subito il pericolo e capisce che non deve fermarsi davanti a nulla per evitare che la propria triste storia trovi continuità in quella della figlia.

A questo bivio della storia raccontata dalla Cortellesi lo spettatore si convince che queste premesse stiano preparando il terreno al gran finale della “terribile vendetta” della donna vessata che ora non ha più remore a colpire duro e ad armarsi finanche di cinismo e menzogne. C’è l’uomo mite che aspetta con trepidazione, l’amica fidata che pronta ad aiutarla, la determinazione finalmente acquisita. Ecco – pensa l’ignaro spettatore la cui indignazione è stata sapientemente modellata dalla regista – adesso gliela fa pagare a quel violento e ottuso del marito. Sembra tutto apparecchiato per questo epilogo che – “epperò alla fine la donna si emancipa solo se tradisce o lascia il marito che invece la tradiva con ostentazione?”, si chiede con un attimo di smarrimento l’ancora ignaro spettatore – adesso sembra anche questo scontato fino a sconfinare nel luogo comune. Senonché…..

Senonché Paola Cortellesi inserisce tra questo preludio allo showdown (resa dei conti o redde rationem che dir si voglia) una sorta di cliffhanger che è un omaggio alla migliore tradizione della commedia all’italiana (dramedy dicono oggi gli americani per appropriarsi di uno stile narrativo che ha fatto grande il nostro cinema): si ride per una “perla nella perla” all’interno della quale si affollano personaggi senza tempo e senza latitudine come la prefica invadente e molesta, il testimone dell’ultimo respiro che mescola affettata commozione a episodi inventati di sana pianta per esaltare il suo ruolo, il figlio sconsolato per una morte annunciata che si abbandona a un dolore folcloristico e grottesco, i bambini fuori posto, i caffè offerti in continuazione ai visitatori (altro grande omaggio, stavolta al teatro eduadiano); insomma la storia ha preso adesso, con il colpo di scena (il cliffhanger di cui sopra) una brutta piega per la protagonista che vede chiudersi la porta verso il nuovo futuro che aveva faticosamente preparato. Ma di quale futuro si tratta? Qual è il mistero della lettera, inusuale quanto sospetta, destinata a lei e non al marito? E allora “fermi tutti” perché è qui che la perla si avvicina al capolavoro trasformando un riscatto personale in una conquista collettiva e una vendetta in una svolta storica.

Romanzo popolare e opera d’arte, racconto accompagnato non solo da un’autonoma colonna sonora ma anche da canzoni di epoche diverse che sottolineano con i loro testi momenti topici della storia, film caratterizzato da grandi prove attoriali individuali (da applausi quelle di Valerio Mastandrea e della stessa Cortellesi) e da scene corali, “C’è ancora domani” è un film che merita il successo che sta ottenendo in termini di incassi al botteghino e di critica e che farà discutere ancora a lungo: si percepisce non solo dagli elogi degli addetti ai lavori ma soprattutto dalla voglia di raccontare sui social le proprie emozioni da parte di chi l’ha visto e apprezzato.

Un film da Oscar, forse non proprio un capolavoro ma qualcosa che gli somiglia molto.

Pio XII, Hitler, l’Irpinia

Pio XII, Hitler, l’Irpinia

Il complesso dell’Abbazia di Montevergine negli anni della Seconda guerra mondiale

L’ultima puntata di Atlantide, su La7, ha riproposto il tema del rapporto tra Pio XII e il nazifascismo alla luce dei nuovi studi e di documenti inediti resi disponibili e acquisibili dall’apertura agli storici di quello che fu l’Archivio segreto vaticano. Ho trovato lo speciale preparato da Andrea Purgatori severo ma allo stesso tempo onesto, documentato ma anche ricco di suggestioni. Non è la prima volta che – non per vantarmi di alcunché, non ce n’è davvero motivo – ricordo a chi mi segue di aver affrontato la questione nel mio primo romanzo, pubblicato nel 2010 e oggi disponibile su Amazon con il titolo “Il Codice Tiziano”.

 

Non è mia intenzione proporre una mia tesi sui “silenzi” di papa Pacelli sulla Shoah e sulla sua attività a favore degli ebrei o suggerire un’interpretazione degli stessi: perché non sono uno storico e un romanzo è semplicemente una storia di fantasia, per quanto possa essere collocata entro una cornice di fatti storici realmente accaduti, far riferimento a personaggi davvero esistiti e ambientata in luoghi reali.

Propongo quindi qualche flash emerso dal programma collegandolo alla storia che ho scritto.

La dottrina nazista – è stato sottolineato da uno degli storici intervistati – riteneva che Gesù non fosse nato in Palestina, altrimenti sarebbe stato un ebreo, ma in qualche luogo inesplorato del Nord. Per Nord è evidentemente da intendersi il Nord Europa, patria della razza ariana: è un elemento interessante perché nella mia storia attribuisco a Hitler un piano per ribaltare l’esito della guerra, ormai segnato a sfavore della Germania, proprio introducendo nella contesa un elemento “divino”.

Per fare questo, nel mio romanzo, Hitler ha bisogno che il Papa sparisca, venga rapito e deportato: la storia che ho scritto riconduce questa mossa disperata proprio a un piano nazista per rapire Pio XII di cui s’è sempre parlato – denominato Operazione Rabat – e di cui si è molto discusso anche nella puntata di Atlantide. La vera ragione di questo articolo non è tanto la mia “scommessa” su Pio XII – che in effetti si adoperò per salvare le vite di tanti ebrei pur nell’eccessiva prudenza, sconfinata nell’ambiguità, della sua posizione rispetto al Nazismo e alla deportazione di milioni di persone innocenti – né la mia scelta narrativa di chiamare in causa il diavolo non come metafora ma come persona reale che agisce con mezzi e sembianze umani. Confesso che ho provato una certa emozione quando uno degli storici interpellati, Guy Walters, ha definito Roma come il campo di battaglia tra il diavolo e il papa, oppure quando di Hitler è stato detto che provava un “satanico gusto” a fare del male.

No, la ragione di questo nuovo “spot” per il mio romanzo è l’Irpinia, l’amore per la mia terra, il senso di impotenza che provo quando misuro l’indifferenza dei miei conterranei – soprattutto coloro che avrebbero il dovere di valorizzarne la Storia e i luoghi – rispetto al grande patrimonio di avvenimenti, personaggi e siti che nel corso dei secoli sono entrati nella grande Storia umana.

Il mio romanzo scommette anche su questo: l’Irpinia e il suo ruolo, incredibilmente e inspiegabilmente centrale, in quello che poteva essere un ribaltamento delle sorti del secondo conflitto mondiale. Non c’è l’Irpinia con il suo nome e luoghi chiaramente indicati nel mio romanzo, perché non si possono attribuire a comunità e personaggi che hanno avuto i ruoli che nella storia di fantasia hanno altri nomi e profili umani, azioni e responsabilità di comportamenti delittuosi, solo perché la struttura narrativa richiede di personificare il “diavolo” anche nella quotidianità delle vicende minime di luoghi ai margini della grande storia. Ma il Santuario di Montevergine è lì, riconoscibile per quanto “camuffato” alla bisogna, e l’Irpinia è lì, perché nella telegrafica nota introduttiva lo affermo esplicitamente quando scrivo che “l’Irpinia è il microcosmo di riferimento”.

La mappa dei luoghi di fantasia, riconducibili all’Irpinia, del romanzo “Il Codice Tiziano”. Il Santuario del Santo Sepolcro richiama il Santuario di Montevergine

Tornando alla puntata di Atlantide intitolata “Vatican War”, a un certo punto si è citato uno degli uomini più potenti del Terzo Reich, il ministro della propaganda Paul Joseph Goebbels: il gerarca nazista ebbe a dire che “il Führer è inesorabilmente determinato ad annientare le chiese cristiane dopo la vittoria”: un elemento essenziale del mio romanzo, quello della lotta tra il diavolo e il Papa, tra Nazismo e Cristianesimo. Ma il colpo di scena riguarda una circostanza che apparentemente ha poco a che fare con la guerra e la Shoah, con gli sforzi prodotti in quel momento da Hitler e da Pio XII; a un certo punto la trasmissione di Purgatori fa infatti riferimento a reperti archeologici emersi nella Basilica di San Pietro proprio durante il pontificato di Pio XII e tenuti segreti dal pontefice; a tal proposito si rivela che Hitler aveva l’obiettivo di “prendere i tesori in Vaticano che riguardavano la Germania”.

Ma cosa poteva mai esserci, in Vaticano, che riguardava la Germania?

E qui il mio romanzo, senza che ne sapessi nulla o potessi immaginarlo mentre lo scrivevo, tra la fine del 2008 e i primi mesi del 2010, potrebbe dare una possibile risposta a quello che viceversa, a considerare le intenzioni di Hitler, non può che restare un mistero, per quanto alcune “tracce”, richiamate nel romanzo perché hanno fondamento storico, siano rimaste. E qui entra prepotentemente in scena l’Irpinia, l’abbazia di Montevergine e la storia “nascosta” di una terra che ha poca considerazione di se stessa e degli uomini che qui hanno vissuto e operato. Ed è una coincidenza che ce lo spiega. Verso la fine del programma viene mostrato un documento inedito firmato da rabbino capo di Palestina che ringrazia Pio XII per l’opera di assistenza e salvataggio di tanti perseguitati ebrei. Il documento cita un religioso, l’abate Ramiro Marcone, che ha legato indissolubilmente il suo nome proprio a Montevergine e alla comunità monastica dei benedettini che nel mio romanzo “salva” ciò che forse Hitler cercava, ma credo che il forse possa essere tranquillamente eliminato.

Ramiro Marcone, durante la guerra, era proprio l’abate di Montevergine, un santuario situato su una montagna del Sud in una terra dimenticata se non da Dio sicuramente dagli uomini, che viene incredibilmente scelto per “salvare” quella che forse è la reliquia più preziosa del Cristianesimo: un oggetto fatto anche di sangue, ed era forse una linea di sangue – il Gesù non ebreo e forse ariano? – quella che Hitler cercava per cambiare le sorti ormai segnate di una guerra che aveva iniziato con intenzioni e obiettivi attribuibili solo a una figura demoniaca.

Può capitare di tirare a casaccio e fare centro; mi piace pensare che con “Il Codice Tiziano” a me sia capitato esattamente questo.

Quella di Atlantide è storia vera, documentata; la mia è una storia che pone la fantasia in un intreccio e uno scenario storicamente reali: magari non lo sapevo ma sono andato vicino a una qualche verità, di sicuro l’Irpinia avrebbe bisogno di conoscere questo suo pezzo di storia che s’intreccia con la grande storia dell’umanità. Non attraverso il mio libro, che è poca cosa, ma sarebbe bello se qualcuno un giorno ci facesse un film o una serie Tv.

Bambini ebrei come cavie: la storia di Sergio De Simone raccontata agli studenti dell’I.C. di Pratola Serra

La Scuola come custode della memoria della Shoah: un testimone da tramandare affinché il ricordo dell’Olocausto sia preservato anche quando i testimoni diretti non saranno più.

Questo il senso, sottolineato dalla Dirigente Scolastica Prof.ssa Maria Teresa Cipriano, della Giornata della Memoria celebrato giovedì 16 Febbraio 2023 dall’Istituto Comprensivo di Pratola Serra.

Una giornata all’insegna di una significativa e toccante testimonianza: quella che Mario De Simone ha offerto agli studenti delle classi terze della scuola media dei plessi di Pratola Serra e Montefalcione.

La storia è quella del fratello Sergio, deportato ad Auschwitz all’età di sette anni e destinato a diventare un “pezzo di laboratorio” per i folli esperimenti degli “scienziati” nazisti. Una storia da brividi, quella del piccolo Sergio, che il fratello ha sintetizzato anche in questa intervista.

«Nelle case degli ebrei si ricorda la Shoah tutti i giorni», ha detto De Simone, indicando il tentativo hitleriano di sterminio del popolo ebraico come «contenitore di tutte le crudeltà e cattiverie».

Di qui la necessità di ricavarne una lezione fondamentale: «La Shoah è il limite estremo del Male».

Non è un sopravvissuto, Mario de Simone, e la sua scelta di testimoniare è spiegata attraverso un percorso che parte dalla sua nascita – «Sono qui perché nato dopo la guerra» – per finire con l’impegno preso insieme a sua moglie al ritorno da Amburgo, quando conobbe il giornalista tedesco che aveva raccolto le prove di quanto avveniva nel campo nel quale era stato portato il piccolo Sergio e che gli consegnò i documenti che ne attestavano la morte.

«Questa storia non può rimanere nei confini della nostra famiglia – le parole dette da Mario alla moglie – ma va fatta conoscere ai più giovani».

Da quel momento il fratello di un bambino che fu deportato come ebreo nonostante avesse ricevuto il battesimo cattolico, ha visitato tantissime scuole per portare ai ragazzi un messaggio che è tutto politico: atrocità come la Shoah possono avvenire quando i cittadini si disinteressano di quel che accade intorno a loro.

Fare memoria, dunque, significa responsabilizzare soprattutto i più giovani affinché non manchi mai la loro partecipazione alla vita sociale e politica.

Tanti gli spunti di riflessione venuti dai ragazzi con le loro domande, alle quali De Simone ha risposto spaziando dal ruolo avuto dalle religioni nell’originare conflitti bellici e persecuzioni alle garanzie di pace e libertà offerte dalla Costituzione Italiana.

Il senso politico della Giornata della Memoria è stato ripreso dalla Preside Cipriano a conclusione dell’incontro.

«Celebrare la Giornata della Memoria è una scelta politica. La politica è anche l’arte di dire dei no. Noi abbiamo scelto di ricordare, perché la memoria è la porta della vita».

Non sono mancati i doni che i ragazzi hanno consegnato a Mario De Simone, a dimostrazione di come anche il corpo docente ha preparato l’evento con attenzione e scrupolo. Ogni dono è stato accompagnato da una motivazione, letta dagli alunni stessi.

“Abbiamo voluto legare le bellissime parole del Presidente Mattarella a un simbolo realizzato secondo la tradizione della nostra terra: le tradizioni non vanno mai cancellate, perché esse sono cultura, storia, identità. I sopravvissuti alla Shoah sono la testimonianza che nessuna cultura, nessuna fede, nessuna tradizione può essere cancellata. Il nostro impegno è che nel presente e nel futuro nessuno debba mai solo temere che accada di nuovo”.

“Lei ci ha raccontato pagine di Storia scritte con il sangue di milioni di innocenti, il dono di una penna che le ricorderà la nostra scuola è per noi ragazzi l’impegno a scrivere la Storia con i valori della vita e della cultura”.

“Mai più fili spinati, mai più persecuzioni: possa il volo leggero della nostra innocenza di ragazzi portare nel futuro la testimonianza che ci è stata donata dai sopravvissuti, affinché non vada mai perduta la memoria del sacrificio di ogni singola persona”.

Alla manifestazione, organizzata dalla Maestra Margherita Iannella e svoltasi presso l’Auditorium “Giovanni Paolo II” di Pratola Serra, erano presenti anche diversi genitori, che hanno voluto esprimere il proprio ringraziamento alla Preside, ai docenti e a Mario De Simone per la grande lezione di vita e di Storia ricevuta dai loro figli.

Pratola Serra riparte dalla legalità con i due uomini simbolo della lotta alle mafie

Intitolazione dell’Aula Consiliare del Comune di Pratola Serra ai giudici Falcone e Borsellino.

Giovedì 24 novembre 2022

Una giornata all’insegna della legalità, che segna simbolicamente ma anche con un patrimonio di valori e di testimonianze, il passaggio tra la fase più buia della storia amministrativa di Pratola Serra e un futuro rappresentato dai ragazzi delle classi terze della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo di Pratola Serra.

Comincia con un’immagine paradossale questa giornata di legalità e speranza, con i commissari Gaetano Tufariello, Florinda Bevilacqua e Giuseppe Mingione, insieme agli studenti, ad attendere le altre autorità e la stampa invitate alla cerimonia, e i candidati a sindaco Gerardo Galdo e Tonino Aufiero a osservare davanti alla sede municipale: il primo dall’altro lato della strada, il secondo – insieme a un gruppetto di candidati e sostenitori – schierato ai piedi della scalinata quasi a ostacolare il passaggio di chi doveva accedere alla sede comunale passando proprio davanti a loro. Né è mancato, infatti, qualche “amichevole consiglio” a giornalisti evidentemente non graditi all’ex sindaco. Una brutta pagina – questa consumata sul marciapiede antistante il Municipio – che chiude il libro nero della storia politica di Pratola Serra, anche se c’è da credere che nel comizio di chiusura si riuscirà a fare di peggio.

Atmosfera, toni e parole di segno opposto, invece, al secondo piano della casa comunale, dove prima viene consegnata al Luogotenente Giovanni De Cicco – comandante della Stazione dei Carabinieri del paese per ben 13 anni – un attestato di benemerenza cittadina, che la Commissione Straordinaria gli ha conferito a nome della cittadinanza.

Esplicite e significative le motivazioni.

«Il Comandante de Cicco ha dato un contributo e un apporto decisivi alle indagini che hanno fatto emergere i fatti che hanno portato allo scioglimento del Consiglio comunale», ha detto il Dott. Tufariello, sottolineando lo stile sobrio ed equilibrato del Comandante, che ricevendo la pergamena della benemerenza ha mostrato una notevole emozione. La targa che intitola l’aula consiliare ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è stata scoperta dallo stesso Tufariello e dalla Dottoressa Florinda Bevilacqua strappando un drappo tricolore che la copriva, breve cerimonia seguita dalla canonica benedizione impartita dal parroco don Andrei Razvan Cadar.

Una volta entrati nell’aula ora simbolo di legalità e trasparenza, ci sono stati i veri e propri interventi, a cominciare da quello del Dottor Tufariello, che ha illustrato ragioni e modalità della scelta compiuta dalla Commissione straordinaria.

«La sala consiliare è uno dei luoghi più importanti del paese – ha affermato – perché qui si prendono le decisioni più importanti per la comunità».

Un altro passaggio del suo intervento è servito a chiarire che nella decisione di intitolare l’aula ai due giudici siciliani non è ravvisabile alcun intento polemico rispetto all’intitolazione precedente, dedicata al medico Antonio Aufiero, zio dei due ex sindaci Tonino ed Emanuele.

«Aufiero è stato un bravo medico – ha sottolineato – ma Falcone e Borsellino sono due persone simbolo, per una scelta in direzione di un valore superiore».

La legalità, appunto. Ma anche il senso delle Istituzioni e il buon governo.

Su questo terreno, Tufariello ha voluto spiegare le ragioni dello scioglimento del Consiglio comunale e del conseguente commissariamento, avvenuti due anni fa.

«Chi amministrava non rispettava le regole – ha detto con particolare riferimento alla gestione delle risorse economiche e dei lavori pubblici – allontanarsi dalla legalità è una via senza ritorno».

Lo stesso commissario ha spiegato agli alunni dell’Istituto Comprensivo che la scelta della denominazione è stata determinata da una consultazione popolare via web dei cittadini pratolani, che hanno deciso, con una percentuale superiore al 95%, di intitolare l’aula consiliare ai due giudici vittime di attentati mafiosi nel 1992.

È stata poi la volta della Dottoressa Florinda Bevilacqua rivolgersi ai ragazzi presenti alla cerimonia: lo ha fatto richiamando proprio Paolo Borsellino.

«Il contrasto alla mafia si fa prima di tutto nella scuola, in famiglia e nella società, un fenomeno che va combattuto nell’agire quotidiano, rispettando le regole».

Il commissario Giuseppe Mingione ha esortato i giovani a interessarsi alla vita del paese.

«C’è poca presenza da parte dei giovani», ha sottolineato.

Ha preso poi la parola il Luogotenente Giovanni de Cicco.

«Ai giovani bisogna dare esperienze ed esempi positivi», ha detto non prima di aver tributato un ringraziamento alla sua famiglia e agli uomini al suo comando, «che mi hanno supportato e sopportato».

Il Luogotenente ha entusiasmato i giovani raccontando un episodio della sua carriera di carabiniere.

«Per dieci anni ho prestato servizio a Marsala, in Sicilia, a partire dal 1991, ritrovandomi nel pieno di una guerra di mafia con morti ammazzati quotidianamente; e la sede della mia compagnia era situata a pochi metri dalla Procura che vedeva a capo il giudice Paolo Borsellino. Ricordo che prima di trasferirsi a Palermo venne nella nostra mensa per salutare noi carabinieri, soprattutto coloro che erano stati i suoi più stretti collaboratori. Il nostro capitano ci presentò a lui come giovani sottufficiali giunti da poco a Marsala: ho così avuto l’onore e la possibilità di salutarlo con una stretta di mano. Ricordo poi con un brivido il fatto di essere transitato, il giorno precedente all’attentato al giudice Falcone, sul tratto autostradale già imbottito di tritolo».

Dopo di lui è intervenuta la Dirigente Scolastica, Professoressa Maria Teresa Cipriano, che ha ringraziato la Commissione straordinaria per il supporto ricevuto a difesa della titolarità di Pratola Serra dell’Istituto Comprensivo, facendo in modo che ogni decisione in merito venisse rimandata a quando anche il Comune di Pratola Serra potrà contare su organi amministrativi eletti e quindi nel pieno di una rappresentatività anche politica della comunità.

«Con i commissari c’è stata una condivisione di valori», ha affermato.

 Così come già sottolineato dal Dottor Tufariello, la Preside ha ricordato ai ragazzi che fu proprio dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino che il Ministero dell’Istruzione introdusse la materia dell’Educazione alla Legalità.

«In assenza di punti di riferimento – ha spiegato – la scuola è un baluardo».

Prima della cerimonia, in un’intervista rilasciata alla stampa, la Prof. Cipriano aveva indicato l’intitolazione della sala consiliare ai due magistrati siciliani come «un momento di ripartenza».

L’intervento del parroco don Adrei Razvan Cadar si è concentrato sulla necessità, per i giovani, di tenere buoni comportamenti.

Anch’egli ha salutato, ringraziandoli, i commissari e il Luogotenente De Cicco.

A diventare veri protagonisti della giornata sono poi stati gli alunni delle terze della scuola media, che hanno letto alcuni brani tratti dal libro “Per questo mi chiamo Giovanni”, di Luigi Garlando, che, come ha spiegato la prima lettrice, racconta i momenti chiave della storia di Giovanni Falcone, il suo impegno, le vittorie e le sconfitte, l’epilogo.

Molto significativa la conclusione del ricordo di Giovanni Falcone da parte dei ragazzi pratolani.

«Vogliamo, infine, ricordare i giudici Borsellino e Falcone attraverso le parole di quest’ultimo: “Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini”. Questo è l’augurio che noi ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Pratola Serra facciamo al nostro paese, affinché possano formarsi menti critiche e coscienze vigili, che saranno la luce delle azioni delle donne e degli uomini di domani».

Un auspicio che è al contempo motivo di speranza e base dalla quale ripartire per una comunità ancora ferita da un tradimento della propria storia e dei valori morali che hanno sempre caratterizzato Pratola Serra.

Camorra a Pratola Serra. Quale futuro?

Appunti per una possibile classe dirigente.

“Importante sviluppo nello scenario criminale irpino è stato lo scioglimento del consiglio comunale di Pratola Serra decretato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell’Interno, il 26 ottobre 2020. La decisione è arrivata dopo che una Commissione d’accesso Antimafia ha stabilito e dimostrato delle ingerenze da parte di soggetti legati alla realtà camorristica locale. Campanello d’allarme che dimostra come i clan locali siano interessati a mettere le mani sul tessuto politico-amministrativo”.


Questo il passaggio riguardante il nostro paese nel contesto della voce “Camorra ad Avellino” scritta da Alessio Capone per WikiMafia.
Un segnale e insieme un messaggio importante per Pratola Serra, una comunità che deve spostare due montagne per poter riuscire a intravedere il proprio futuro. La prima si chiama camorra, la seconda deficit finanziario.

In un anno, dallo scioglimento del Consiglio comunale per condizionamenti e infiltrazioni di tipo mafioso ad oggi, si è parlato molto del secondo problema e zero del primo. Gli ex amministratori, di maggioranza ed opposizione, si sono spesi molto per affermare le proprie tesi e ragioni sul dissesto finanziario e hanno taciuto sulla qualità e le conseguenze della presenza della camorra nel nostro paese.

Non si è indagato il fenomeno come elemento distorsivo e inquinante nelle elezioni comunali e sulle scelte amministrative, non è stata sviluppata una riflessione sull’origine dell’infiltrazione in riferimento alla permeabilità e connivenza del ceto politico, del disagio sociale e della fragilità del tessuto economico-imprenditoriale locale.

Mi auguro che l’impegno antimafia di giovani come Alessio possa costituire un punto di partenza e un incentivo affinché si apra un confronto serio sulla questione, anche in funzione della selezione della futura classe dirigente che sarà chiamata a governare la nostra comunità, nella speranza che l’Amministrazione della cosa pubblica venga finalmente vista non come un potere di cui servirsi ma di un servizio alla collettività, non come il mezzo per alimentare clientelismo e corruzione ai fini di carriere politiche ma come lo svolgimento di una funzione che elevi la politica al rango di attività sociale capace di dare decoro, credibilità ed efficienza alle Istituzioni.

Personalmente ritengo che questa nuova classe dirigente debba essere trovata nell’impegno antimafia dei giovani e tra professionalità in grado di affrontare entrambe le emergenze. La “politica pura”, a Pratola, ha fallito: noi – io per primo – che abbiamo affidato la selezione della classe politica per il governo del paese alle strategie, alle tattiche e alle alchimie partitiche e di coalizioni (prima politiche e poi civiche) abbiamo fallito. Ed è tempo che facciamo, tutti, un passo indietro.

Facciano un passo indietro le ultime due formazioni civiche che si sono confrontate nel 2017, facciano un passo indietro i partiti, reali e virtuali, che in questo anno si sono nascosti, faccia un passo indietro la cosiddetta società civile, fatta di associazioni che di fronte alla vera camorra si sono dissolte (troppo facile far parlare dei clan di Napoli preti anticamorra e dirigenti di Polizia), società civile fatta di un mondo cattolico che non solo ha tradito le parole contro la mafia degli ultimi tre pontefici e gli esempi luminosi di don Pino Puglisi e don Peppe Diana ma ha addirittura scelto di far rappresentare la parrocchia finanche agli omissis della relazione antimafia per l’organizzazione dell’ultima festa patronale.

Un po’ tutti hanno (abbiamo) preferito giocare a nascondino anziché assumere l’impegno di parlare apertamente di camorra, di corruzione, di malapolitica. Mi sento di incoraggiare giovani come Alessio, non mancando di fare appello alla parte sana della nostra comunità affinché non lasci questi giovani da soli, non abbandoni i nostri figli a un futuro di debiti da pagare e di lassismo nei confronti della criminalità organizzata.

Fine delle trasmissioni

Fine delle trasmissioni

L’inizio è la fine. La fine è l’inizio.

(da “Dark”, serie Netflix)

Il 22 ottobre 2020 il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese decideva lo scioglimento del Consiglio comunale di Pratola Serra per infiltrazioni e condizionamenti dell’attività amministrativa da parte della criminalità organizzata. Decisione poi confermata, il 26 ottobre, con un decreto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In questi sei mesi ho dedicato 20 video – condivisi su youtube, Facebook e Instagram – allo scioglimento del Consiglio comunale di Pratola Serra: il fillo conduttore del mio racconto è stato la relazione firmata dal Prefetto di Avellino Paola Spena quale sintesi delle conclusioni della commissione d’accesso antimafia, che ha monitorato per sei mesi gli atti amministrativi degli ultimi 10-12 anni. Altri due video riguardano le clamorose perquisizioni effettuate dai Carabinieri nelle abitazioni di diversi amministratori, i quali lo stesso giorno dell’operazione tennero una conferenza stampa per negare ogni addebito nei loro confronti.

La storia che ha portato sulle pagine dei giornali locali e alla ribalta della cronaca nazionale il comune di Pratola Serra, il paese nel quale sono cresciuto e nel quale decisi di tornare per costruire una famiglia e dare stabilità alla mia vita, è ovviamente una storia fatta di verità e di menzogne, una storia nella quale non è sempre semplice distinguere le une dalle altre. Ovviamente non ho la pretesa di stabilire cosa è menzogna e cosa è verità: ho solo provato a dare, insieme a personalissime riflessioni, informazioni a chi è interessato a capire cosa è davvero successo a Pratola negli ultimi anni.

I video di cui parlo sono qui:

https://www.youtube.com/channel/UC9BG4MULKu3fEnrWnK8Yd1Q/videos

Il mio viaggio, a un certo punto, ha trovato agganci con i libri che stavo leggendo (tre romanzi): gli ultimi tre che ho letto e recensito su uno dei miei profili Facebook e sul mio blog; si tratta di “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, “Il bordo vertiginoso delle cose” di Gianrico Carofiglio e “Giuda” di Amos Oz.

Già di per sé i libri hanno il potere di farci riflettere sul presente e su ciò che accade intorno a noi: se poi si intrecciano alla perfezione dando anche risposte rispetto alle vicende su cui sei impegnato, essi riescono perfino a indicare una strada.

Così è stato per me con questi tre libri. Provo a spiegare perché, e soprattutto a quale conclusione mi hanno portato.

Nascondere la verità in un involucro, qualcosa che somigli a una bugia. Anzi: rendere evidente la verità dicendo una bugia. Insomma, la verità nascosta in una menzogna. Oppure l’esatto contrario: presentare come “verità amministrative” (solo perché sigillate come tali da atti approvati in forza di una maggioranza) menzogne e comportamenti a dir poco discutibili, il più delle volte consumati nel territorio grigio e comunque oscuro del confine tra la legittimità politica e amministrativa e l’illegalità.

Per tredici anni le diverse Amministrazioni che hanno governato Pratola Serra hanno scelto la seconda strada: matrioske continue di verità amministrative alternate a menzogne spudorate e immorali: matrioske nelle quali le verità nascondevano spesso le menzogne e le menzogne erano l’unica verità evidente.

***

Una storia di menzogne e di verità è anche quella raccontata da Ray Bradbury in Fahrenheit 451: la menzogna di una realtà immaginata, distopica ed eccessiva. Pompieri che appiccano incendi invece di spegnerli. Una falsità spudorata. Una menzogna che nasconde una grande verità: il fuoco ha sempre a che fare con un pericolo: un pericolo dal quale difendersi con l’acqua, un pericolo dal quale difendersi con il fuoco; il fuoco che allontana le bestie, il fuoco che scaccia il freddo, il fuoco che brucia i libri. Che brucia la conoscenza, e con essa la verità.

Ma cosa c’entra tutto questo con la storia che in sei mesi ho provato a raccontare con video e post pubblicati sui social? La storia delle ragioni che hanno portato allo scioglimento del consiglio comunale di Pratola Sera per infiltrazioni della criminalità organizzata. Camorra, in questo caso.

C’entra, perché la storia dello scioglimento è fatta di verità nascoste sotto un cumulo impressionante di bugie e di bugie accettate come verità per superficialità, indifferenza, ingenuità o convenienza. Non le ripercorrerò, ovviamente. Non mi interessa. Non più.

Il filo conduttore della mia narrazione è stato il testo della relazione del Prefetto di Avellino (preceduta dall’introduzione tutt’altro che formale del Ministro dell’Interno): relazione che è una sintesi del lavoro svolto dalla Commissione di accesso antimafia che per ben sei mesi ha indagato in municipio – e non solo – sull’attività dell’Amministrazione comunale e sui comportamenti degli amministratori.

Ho fatto considerazioni – se e quando le ho fatte – esclusivamente sulla base di queste conclusioni di ministro e prefetto. Nulla di più, o poco più, dei semplici fatti per come sono stati riportati e descritti nella relazione.

Non mi interessa avere ragione, non è mio compito dividere le verità dalle menzogne, classificare come tali le une e le altre. Saranno altri a farlo, naturalmente.

Ho maturato la decisione di concludere la mia narrazione proprio mentre leggevo il romanzo di Bradbury. Più mi addentravo nella storia, mi più questa mi affascinava e coinvolgeva, tanto più quando incrociavo passaggi perfettamente sovrapponibili alla situazione che stavamo vivendo a Pratola: una situazione sconcertante per un verso, paradossale per un altro; sconcertante, perché cos’altro puoi provare, se non sconcerto, quando scopri di vivere in una comunità amministrata da personaggi che si sono fatti condizionare, nelle loro scelte, da camorristi? Paradossale perché, giorno dopo giorno, ti accorgi che è come se nulla fosse davvero accaduto: si attendono arresti, processi, addirittura sentenze. Come se questi potessero arrivare nel lasso di qualche settimana, o di giorni; come se i fatti messi in fila nella relazione fossero dettagli, al più rumori di fondo. Si dirà che forse non sono mai accaduti, che sono da provare o che per essere rilevanti debbano avere il sigillo di una sentenza, meglio ancora se definitiva. In altri termini, per farci un’opinione su evidenti forzature amministrative, su un uso disinvolto del denaro pubblico, su un esercizio spregiudicato del potere, su condotte più che discutibili caratterizzate da avventurismi e salti nel vuoto, sull’inevitabile nocumento causato a un’intera comunità per aver cercato o ottenuto sostegno elettorale da ambienti e personaggi ben noti, dovesse esserci bisogno di manette, avvisi di garanzia, rinvii a giudizio, processi, condanne. Come se non bastasse ciò che è scritto nella relazione, come se non bastasse quello che già sappiamo, come se non bastasse ciò che abbiamo sempre saputo. E che da sei mesi ha la conferma di soggetti e organi istituzionali come una commissione d’accesso antimafia formata da ufficiali dei carabinieri e funzionari del ministero degli Interni, come il Prefetto di Avellino. Come il Ministro dell’Interno, come il Consiglio dei ministri, come il Presidente della Repubblica. Ma no, tutto questo a Pratola non basta, cosa mai può contare una tale trafila di certificazioni di fronte alla parola di un omissis qualunque pronunciata su un marciapiede o davanti a un bar? Un atteggiamento collettivo che se mai certifica ulteriormente il condizionamento mafioso non solo di un’amministrazione comunale ma di un’intera comunità.

Insomma vale di più il nuovo cumulo di menzogne del buonsenso di cittadini assistiti dalla diligenza del buon padre di famiglia. Serve la verità di una sentenza definitiva per disseppellire le tante menzogne nascoste dagli involucri delle verità degli atti amministrativamente in regola, dei permessi e dei nulla osta? O forse tutto è lecito quando avviene nella legittimazione del consenso elettorale? Vincere le elezioni dà il diritto di decidere per un’intera comunità, non di andare oltre o contro la legge. Per molti, forse si può. Ma non è questo il punto. Non è più tempo di ragionamenti razionali – se mai ce n’è stato uno comunemente accettato, nel senso di confronto – né di analisi. È, invece, il tempo per cominciare un altro racconto. Un inizio che segna la fine del primo. Quel che ho capito – leggendo insieme, pubblicamente la relazione del Prefetto e privatamente “Fahrenheit 451”, “Il bordo vertiginoso delle cose” e “Giuda” – è che è inutile provare a convincere qualcuno che pur di non conoscere la verità preferisce cancellarla. Bruciandola.

Che sia essa la verità degli uni o degli altri.

Se ciascuno ha il diritto di avere una propria verità, la mia è quella scritta nei libri. Ed è a ai libri che voglio tornare. Non a scriverli, ma a leggerli.

Il mio è un racconto di considerazioni ispirate da alcuni passaggi dei tre libri o che nascono da altri passaggi: i primi sono mutuati – lo farò soltanto per l’incipit – i secondi riportati testualmente.

Quello che vedo intorno a me

Questo paese ha attraversato quasi tre lustri osservando opulenza ostentata e tentativi di nascondere arricchimenti piovuti da chissà dove di gente agiata della quale non s’è mai conosciuta l’attività lavorativa; i bisognosi che ricevevano aiuti, un minimo aiuto, erano il velo sotto il quale nascondere la sporcizia di certi affari e il fetore di soldi non impregnati di sudore.

Poi c’era l’involucro e c’era la sostanza, la verità celata dalla confezione lussuosa della menzogna; sì, i vostri volti hanno sempre detto tutto: non persone felici, ma gente feroce che indossava la contentezza come una maschera.

Vedendo riflessa la mia povera immagine nel vuoto delle espressioni di queste maschere, dall’alto del mio nulla respiro a pieni polmoni la libertà dell’essere estraneo a questo carnevale dell’inutile compiacimento, a questa fiera dell’esaltazione dell’effimero. Ne sono estraneo per scelta, vivaddio!

Cominciare un racconto per mettere il punto ad un altro, dunque. Ma come farlo? E perché farlo? Per chi, soprattutto?

Mi sono convinto del dovere di lasciare una testimonianza del periodo più buio della storia del paese nel quale ho scelto di vivere e di costruire la mia famiglia.

Chi sarà il reale destinatario (beneficiario?) di questa testimonianza non saprei dirlo. Ma forse proprio per questo è necessario lasciarla. Proprio per questo è necessario che la vera sostanza sia celata da un involucro di apparenza. L’apparenza delle parole. Le parole di tre romanzi (cioè finzioni, racconti di fantasia, in un certo senso bugie) sono l’involucro, i fatti che si sono consumati sotto gli occhi di tutti e nell’indifferenza quasi generale è la sostanza che va cercata e trovata. E potrà farlo solo chi sarà capace di non fermarsi alle apparenze, chi saprà andare oltre le menzogne mascherate da verità, le bugie spacciate per gesti caritatevoli, chi avrà tanto a cuore la verità da trovarla in un cumulo di parole che, apparentemente, parlano d’altro. Perché farlo?, è lecito chiedersi. Proverò a dirlo.

***

Da Fahrenheit 451: “Tutti dobbiamo lasciare qualcosa, quando moriamo. Lo diceva mio nonno. Un bambino, un libro, un quadro, una casa, un muro appena costruito o un paio di scarpe fatte con le nostre mani. Magari un orto in cui avevamo seminato. Qualcosa che le tue mani avevano toccato in un certo modo, sicché l’anima abbia un posto dove andare quando muori. E se la gente guarderà quell’albero o il fiore che hai piantato, tu sarai là. Non importa quello che fai, diceva il nonno, purché serva a cambiare qualche cosa, a renderla diversa da come era prima che la trasformassi in una cosa che somiglia a te. La differenza tra un uomo che si limita a tagliare l’erba e un vero giardiniere è nel tocco, mi diceva. Il tagliatore d’erba è anonimo, il giardiniere lascia un’impronta che dura tutta la vita”.

Se avessi chiesto a Ray Bradbury di scrivere qualcosa in riferimento a quanto accaduto nel mio paese e al mio istinto di ribellione e al mio senso di impotenza, non avrebbe potuto utilizzare parole più adatte. Non c’è quindi bisogno di aggiungere altro se non, ovviamente, che io non intendo cambiare alcunché: ho ritenuto di dare una testimonianza, soprattutto per affermare che non tutti i pratolani sono indifferenti, silenti, mossi da interesse, conniventi, collusi, comprati. Ma come farlo?

Evitando il fuoco, prima di tutto. Perché il fuoco è nemico della verità, quella scritta nei libri, sui giornali, oggi sui social. Ma tutto può essere verità, e tutto può essere menzogna. Come distinguere? Di solito chi è certo di affermare una verità non teme il confronto tra “verità” diverse, non sfugge al contraddittorio, non rinuncia a esporre pubblicamente le proprie ragioni, fa di tutto per confutare gli argomenti di chi muove una critica o addirittura un’accusa, tanto più se tale accusa è grave come quella di essere stati condizionati da clan camorristici. Chi rivendica con sicurezza di dire la verità, di tutto ha bisogno fuorché del silenzio. Rendere note le vicende, dunque: informare, dibattere. Chi non prova a farlo comincia a inoltrarsi nel buio delle menzogne e della reticenza perché la verità lo spaventa, lo accusa, lo mette spalle al muro. La verità, quella oggettiva, emerge al manifestarsi di tre condizioni, indicate da Bradbury nel suo romanzo.

Da Fahrenheit 451: “La qualità dell’informazione, il tempo per assorbirla, il diritto di compiere azioni basate su quello che impariamo dall’interazione fra le prime due”.

Personalmente non ho fatto altro che informare, prendendo in esame alcuni passaggi della relazione del prefetto; serviva tempo per farlo: tempo per far assorbire l’importanza di quei fatti, l’enormità degli effetti prodotti nella nostra comunità; le azioni conseguenti, basate sull’interazione tra informazione e comprensione dei fatti, non spettano a me. Dunque, mi fermo qui. O meglio: mi sono fermato un passo fa.

L’opinione è nemica della verità: la verità è oggettiva, l’opinione è un’interpretazione di fatti oggettivi. È legittimo che una comunità (o almeno la sua maggioranza) decida di dare un’interpretazione di quei fatti: la formazione di una maggioranza intorno a un’interpretazione è un fatto oggettivo, ma quell’interpretazione, per quanto maggioritaria, non cambia i fatti. Da una parte la verità dei fatti, quindi, dall’altra l’interpretazione – maggioritaria o minoritaria – di quei fatti. A nessuna delle due fazioni è dato di brandire quei fatti come verità, ma la verità di quei fatti resta.

Sono ancora i libri, questa volta due, ad aiutarci nella comprensione di quanto accade intorno a noi, nonostante il fatto che ciò che accade intorno a noi non ha nulla a che vedere, apparentemente, con le storie che raccontano.

Da Fahrenheit 451: “Anch’io dirò la mia e tu sentirai, potrai fare un paragone e decidere da che parte saltare o lasciarti cadere. Ma voglio che sia una decisione tua, non mia o del capitano. Ricorda che lui appartiene al peggior nemico della verità e della libertà, il gregge compatto e insensibile della maggioranza. Dio, la tremenda tirannia della maggioranza. Tutti abbiamo un’arpa da suonare, ma tu dovrai decidere con quale orecchio ascoltarla”.

La storia raccontata da Bradbury – per il lettore che vive in una società libera e democratica – pone il protagonista di fronte a una scelta “facile”: stare dalla parte di chi brucia i libri oppure unirsi a chi prova a difendere e a conservare la conoscenza. Al di là del fatto che anche oggi non sono pochi coloro che pensano di fermare idee e opinioni avverse bruciando i testi che le contengono, la difficoltà del protagonista di Fahrenheit 451 sta nel dare credito a una versione dei fatti o all’altra, aggregarsi alla maggioranza che crede ciecamente alla versione di chi detiene il potere oppure arrischiarsi nel territorio inesplorato indicato da un pugno di dissenzienti. Certo, un’altra facilitazione – per il lettore – offerta da Bradbury è quella di collocare le vicende narrate e i loro protagonisti in un contesto storico e politico caratterizzato da un regime dittatoriale e privato della libertà. Ma esiste davvero la libertà in un contesto condizionato e infiltrato da un potere criminale come la camorra? Se si può dire che è l’opinione dominante a determinare la “verità”, è altrettanto corretto affermare che una “verità” accettata per paura – Fahrenheit 451 è soprattutto una storia caratterizzata dal terrore – determina una maggioranza fondata su un’opinione che di fatto è manipolata. La differenza la fanno i mezzi in campo: le conoscenze, le risorse economiche, l’esercizio della forza, anche quella fisica. Poi, per chi è disarmato su questi terreni, esiste l’utopia. Cioè la forza delle idee, l’assillante bisogno di verità e di giustizia. Spesso, o almeno questo accade a me, i libri diventano il luogo nel quale cercare tutto questo.

Da Fahrenheit 451: “La maggior parte di noi non può correre dappertutto, parlare con chiunque, conoscere tutte le città del mondo, perché non ha il tempo, i soldi e neppure tanti amici. Le cose che cerca, Montag, sono nel mondo, ma il solo modo in cui l’uomo medio può conoscerle è leggendo un libro”.

Montag è il protagonista del romanzo, un pompiere che ha bruciato i libri e le case nelle quali venivano conservati i pochi ancora esistenti, che a un certo punto comincia a porsi domande e a riflettere. Chi gli parla è un anziano ex professore che prova a preservare il patrimonio letterario con la forza della memoria. Ma allo stesso tempo è consapevole della disparità delle forze in campo.

Da Fahrenheit 451: “Non credo che un vecchio come me e un pompiere amareggiato possano fare molto, a questo punto del gioco”.

La mia condizione non è ovviamente quella del pompiere amareggiato, ma più leggevo più trovavo conferma della bontà della mia risoluzione di cercare le risposte nei libri. Umberto Eco era solito affermare che i libri si parlano fra di loro, io sperimento come essi parlino a noi quasi mettendosi d’accordo fra di loro, facendo a gara a farci comprendere le cose, aiutandosi l’un l’altro affinché questo avvenga. Capita così che pensi di afferrare il senso del passaggio di un libro che onestamente non ti è poi davvero chiarissimo. Lo leggi, pensi di averne colto quantomeno il significato di massima e vai oltre. Così è capitato a me leggendo un brano – che ora sono certo essere fondamentale – di Fahrenheit 451.

Da Fahrenheit 451: “Forse i libri possono aiutarci a mettere la testa fuori dalla caverna. A impedirci di fare gli stessi maledetti errori”.

Mettere la testa fuori dalla caverna: alla fine ti convinci che si tratta di una metafora – come a dire uscire allo scoperto, avere il coraggio di esporsi – e ti accontenti, anzi sei felice, di aver recepito ciò che è più importante in quel passaggio: i libri ci aiutano a non commettere gli stessi errori. Per non commettere gli stessi errori bisogna prendere pubblicamente una posizione. Hai capito, insomma.

Invece no. Hai capito poco, o forse non hai capito nulla.

Lo scopro appena qualche giorno dopo aver finito il romanzo di Bradbury e iniziato uno di Gianrico Carofiglio, “Il bordo vertiginoso delle cose”: una storia che apparentemente non ha nulla a che fare con quella raccontata da Bradbury. Forse è così, ma per me c’è un filo rosso che mi consente di capire quel che mi è sfuggito leggendo quel brano di Fahrenheit 451 riguardante la caverna: una metafora che ha a che fare con qualcosa che non ho studiato, la filosofia. Ammesso che io abbia mai studiato ‘davvero’ qualcosa in modo serio. Nello specifico, la caverna è una metafora di Platone, che descrive un luogo, la caverna appunto, nella quale da sempre sono tenuti incatenati uomini che conoscono solo ombre e suoni indistinti.

Da Il bordo vertiginoso delle cose: “Nel mito platonico gli oggetti fuori dalla caverna sono le idee, che l’uomo riesce a percepire e a conoscere solo quando si libera dalle catene della doxa – l’opinione – che per Platone rappresenta la forma più primordiale e ingannevole di conoscenza. Proprio come quella degli incatenati che possono vedere solo le ombre e sentire solo gli echi”.

Se Bradbury e Carofiglio avessero voluto mettersi d’accordo, a sessant’anni di distanza l’uno dall’altro, per consentirmi di descrivere al di là delle mie possibilità la mia ricerca di verità e giustizia condotta negli ultimi mesi, di meglio non avrebbero potuto fare. Ora è davvero tutto chiaro. Ma tutto ben lontano dall’essere risolto, ovviamente. Perché i libri offrono una verità valida solo per il lettore, non una verità universalmente riconosciuta. Fahrenheit 451 mette in fila le vicende “pratolane” in due passaggi essenziali.

Da Fahrenheit 451: “Un pugno di matti con la testa piena di versi non possono preoccuparli, lo sanno loro e lo sappiamo noi. Finché il popolo non si mette ad andare in giro citando la Magna Charta e la Costituzione, va tutto bene”.

Per questo ho potuto scrivere e parlare tranquillamente, per mesi. Perché ho fatto “poesia”. Perché non ero “il popolo”, ma solo un matto. Le due condizioni affinché i poteri oscuri e palesi reagiscano sono queste: che sia “il popolo” a muoversi e che esso parli affermando diritti e Diritto. Cose scritte, cogenti, valide e riconosciute. Non un’opinione, non le menzogne di un omissis qualunque. Questo cambia le cose, per davvero: un popolo consapevole dei propri diritti che esige, da tutti, il rigoroso rispetto delle leggi.

La consapevolezza e l’informazione: due elementi essenziali, più di tutto l’informazione. Il “popolo” deve avere la consapevolezza che, avendo tutte le informazioni a disposizione, può sconfiggere ogni nemico dei fatti, ogni forma di tirannia, ogni camorra e ogni politica corrotta.

Da Fahrenheit 451: “Conosce la leggenda di Ercole e Anteo, il gigante che aveva una forza inesauribile finché posava i piedi a terra? Se la leggenda non rispecchia la nostra situazione qui, oggi, in questa città, allora io sono pazzo. Bene, ecco la prima cosa di cui abbiamo bisogno: qualità e spessore nell’informazione”.

Anteo, nella mitologia greca, era un gigante, figlio di Poseidone. Egli, ricevendo forza dal contatto con sua madre, la Terra, vinceva facilmente tutti quelli che incontrava e con i crani delle sue vittime decorava il tempio paterno. Fu vinto da Ercole, che lo tenne sospeso dal suolo e lo strozzò. Quando Ercole riuscì a sollevarlo a mezz’aria, il gigante morì senza troppi sforzi da parte dell’eroe.

Nessun avversario è invincibile, come dimostra il modo con il quale Ercole sconfisse Anteo; lo sconfisse perché conosceva il suo segreto, il suo punto debole. Aveva cioè l’informazione giusta e la giusta determinazione. I due elementi che oggi servono alla nostra comunità per uscire dalle tenebre in cui ci ha trascinato chi ha amministrato il paese negli ultimi 14 anni. Ma nulla è scontato. Nemmeno quando ci sono le intenzioni migliori e si è certi di sapere chi è nel giusto e chi sono i colpevoli.

Da Fahrenheit 451: “Non potevano sapere con certezza che le cose che avevano in testa avrebbero illuminato un’alba più pura; sapevano soltanto che dietro i loro occhi tranquilli i libri erano conservati in ordine, e che aspettavano, con le pagine non ancora tagliate, i clienti che sarebbero venuti in futuro, alcuni con le mani pulite e altri sporche”.

Ciò che verrà dopo è sempre un’incognita. Si può sbagliare, ma bisogna agire, e non è detto che abbattuto un tiranno non contribuiamo a elevarne un altro. Qui da noi è già capitato.

Da Fahrenheit 451: “Affideremo tutto alla stampa fino al prossimo Medioevo, quando dovremo rifare ogni cosa daccapo. Ma questa è la meravigliosa qualità dell’uomo: non si scoraggia né si disgusta abbastanza da rinunciare a tentare di nuovo, perché sa molto bene che è importante e ne vale la pena”.

In questi sei lunghi mesi mi sono chiesto se sono io ad essere pazzo a combattere da oltre tre decenni contro tutto ciò che ai miei occhi appare come un’ingiustizia o se sono semplicemente inadeguato a spiegare, ad argomentare, a dimostrare.

In una parola: a convincere. Ancora una volta è stato il libro che stavo leggendo a farmi capire.

Da Fahrenheit 451: “Non si può costringere la gente ad ascoltare: devono arrivarci da soli, quando è il momento, e allora domandarsi cosa è successo e perché il mondo è scoppiato sotto i loro piedi. Perché così non può durare”.

Tornando ora al mito platonico della caverna, ci appare più chiaro il fatto che l’uomo riesce a percepire e a conoscere solo quando si libera dalle catene dell’opinione. Fosse anche l’opinione dominante.

L’informazione e la consapevolezza di una minoranza può vincere contro l’opinione della maggioranza? Dipende dalla qualità della minoranza, intesa come capacità di diffusione dell’informazione ed efficacia della riflessione su di essa.

Da Fahrenheit 451: “Non chieda garanzie e non si aspetti di essere salvato grazie a una sola persona, macchina o biblioteca”.

In queste poche parole è racchiusa (e spiegata) la limitatezza della mia azione di informazione. Limitatezza, non inutilità. Ma i limiti sono soprattutto temporali: un’azione, quale essa sia, non può durare all’infinito. Si verrebbe, giustamente, accusati di “fare filosofia”.

Ecco. La filosofia. La materia che non ho mai studiato.

Da “Il bordo vertiginoso delle cose”: “La filosofia serve a non dare per scontato. Nulla. La filosofia è uno strumento per capire quello che ci sta attorno – per capire quello che ci sta dentro probabilmente è più efficace la letteratura –, ma capiamo davvero quello che ci sta attorno se non diamo per scontate le verità che qualcun altro ha pensato di allestire per noi. Fare filosofia – cioè pensare – significa imparare a fare e a farsi domande. Significa non avere paura delle idee nuove. Significa non fermarsi alle apparenze. Significa essere capaci di dire di no a chi vorrebbe imporci il suo modo di pensare e di vedere il mondo. Cioè a chi vorrebbe pensare per noi”.

Appunto. Ci ho provato. Com’era mio diritto. Anzi: com’era mio dovere.

Il dovere di un cittadino. Di ogni cittadino.

Ho provato a oppormi all’opinione dominante con la forza dei fatti, evidentemente danneggiata dalla debolezza delle mie parole. Ho provato a dire di no.

Da “Il bordo vertiginoso delle cose”: “La capacità di dire no, è una delle manifestazioni fondamentali del pensiero e della libertà”.

Due libri, due romanzi che mi hanno condotto alla riflessione sulla necessità di capovolgere attraverso l’informazione e la sua condivisione la forza della maggioranza basata sull’opinione e non sui fatti.

Poi è arrivato il terzo romanzo, “Giuda”. Che parla a me. Che forse parla di me.

Soprattutto mi ha indicato una strada.

Da “Giuda”: “Sei un soldato coraggioso nell’esercito dei redentori del mondo, mentre io sono solo parte del suo guasto. Quando il mondo nuovo avrà trionfato, quando tutti gli uomini saranno retti e sinceri e produttivi e robusti e pari e dalla schiena dritta, negherai sicuramente il diritto all’esistenza di creature deformi come me, che mangiano e non producono, e per di più molestano con il loro vano e instancabile blaterare. Meglio restare con tutta la sofferenza e il dolore e loro si tengano pure tutti i riscatti del mondo, che comportano immancabilmente macelli. E neanche di te, mio caro, ci sarà più alcun bisogno, non servirai più a nulla di nulla dopo che finalmente si sarà realizzata la grande rivoluzione del futuro”.

Posso immedesimarmi facilmente in ognuna delle due parti: quella di chi prova a redimere e quella di chi ha causato il guasto. Nella certezza che ognuna delle due, domani, sarà messa da parte.

Quindi meglio farlo autonomamente. E farlo per tempo.

Il romanzo propone poi altre due “parti” apparentemente contrapposte e nelle quali posso immedesimarmi contemporaneamente. O singolarmente a seconda del punto di osservazione.

Da “Giuda”: “Beati i sognatori e sventurati coloro che hanno gli occhi aperti. I primi non ci salveranno di certo, né noi né i loro discepoli, ma senza sogni e senza sognatori la maledizione peserebbe mille volte di più. È per merito dei sognatori se anche noi, i disincantati, siamo un po’ meno di pietra e disperati di quanto saremmo senza di loro[u1] ”.

I sognatori e i disincantati, dunque. Ho sempre pensato di essere parte della prima categoria, in questi sei mesi ho scoperto, amaramente, di appartenere invece alla seconda. Ma si può essere a un tempo disincantati e sognatori avendo gli occhi chiusi. Ad occhi chiusi si sogna, è vero. Ma se i sognatori sono coloro che vogliono redimere il mondo, prima o poi devono aprirli.

Da “Giuda”: “Quasi tutti gli uomini attraversano lo spazio della vita, dalla nascita alla morte, a occhi chiusi. A occhi chiusi. Perché se solo li aprissimo per un istante, ci sfuggirebbe da dentro un urlo tremendo e continueremmo a urlare senza smettere mai. Se non urliamo giorno e notte, è segno che teniamo gli occhi chiusi.”.

E dunque? Se i sognatori sono quelli che non tacciono, chi sono i disincantati? Quelli che non urlano? Ma se chi non urla ha gli occhi chiusi, può diventare un sognatore? Chi è nato prima, il sognatore o il disincantato? Tornando ai pompieri di Bradbury, si potrebbe mutuare sostenendo il vecchio adagio che chi nasce incendiario muore pompiere. Ma i pompieri di Fahrenheit 451 appiccano il fuoco, non lo spengono. Allo stesso modo, dopo aver vissuto più di due terzi della mia esistenza a fare il sognatore, mi ritrovo ora a essere un disincantato. Ma l’ho scoperto solo in questi ultimi sei mesi.

Sei mesi nei quali mi sono conosciuto meglio, e mi sono fatto orrore.

Ho coinvolto la mia famiglia, esponendola. Senza chiedere permesso. Senza ascoltare nessuno, sfidando il parere di tutti. Non per egoismo, ma per esigenza di solitudine. Non per sognare, ma per disincanto. Mio figlio Angelo, quando era piccolo, mi prendeva in giro dicendomi che sono un uomo dell’Ottocento. Prendendo a prestito un passaggio di “Giuda” si potrebbe forse dire in un altro modo.

Da Giuda: “Non apparteneva al nostro tempo. Forse era arrivato troppo tardi. Forse troppo presto. Ma non era di questo tempo”.

Non so se per me sia davvero così. Quel che so per certo è che non appartengo alla schiera di coloro che praticano la politica come un potere fine a se stesso. Non è detto che io sia migliore di chi ha questa visione della politica. Essere un sognatore o un disincantato può essere anche peggio. Ma so per certo anche che non ho mai visto la politica – e in particolare la lotta elettorale – come strumento di sostituzione.

Da Giuda: “ La sostanza della tragedia umana, diceva Shaltiel, non è nel fatto che i perseguitati e gli oppressi aspirano ad affrancarsi. No. Il male è che gli oppressi segretamente sognano di diventare oppressori di coloro che li opprimono. I perseguitati anelano al ruolo di persecutori. Gli schiavi sognano di essere padroni”.

A Pratola è già accaduto nel 1980, e si è ripetuto nel 2007. Non è mia intenzione prendere parte alla prossima replica, nemmeno come comparsa. Anzi: neanche come spettatore.

La realtà di Pratola somiglia molto, ancora oggi, a quella descritta dal passaggio di “Giuda”: ancora oggi perché – è questa la mia impressione, ma forse sta già diventando certezza – che in quella parte di gruppi politici e opinione pubblica non compromessa con i fatti descritti dalla relazione del prefetto si continui a pensare e ad agire come se gli avversari da battere siano i rappresentanti delle ultime Amministrazioni comunali e non, invece, quanto si muove e si è mosso intorno a loro: un coacervo di interessi, spesso illegali e immorali, di pretese, di “diritti acquisiti” ma non legittimi né leciti.

Questa certezza mi impedisce di essere della partita, finanche di osservarla o di sostenere una parte o un’altra. Preferisco il mio mondo fatto di libri.

Mia figlia Chiara – che a differenza del fratello maggiore è meno taciturna e preferisce prendermi in giro non con lo scherzo ma in modo tagliente, per descriversi forse prenderebbe a prestito questa descrizione della figura paterna della protagonista femminile di “Giuda”.

Da Giuda: “Viveva dentro un mondo maniacale. Si era creato una specie di giardino dell’Eden utopico, e di fronte si era dipinto un inferno”.

Ma in fondo, visto ciò che accade intorno a me, ritengo che l’Eden utopico, il mio Eden utopico fatto di libri, sia preferibile a ciò che c’è oltre, sia o meno l’inferno che mi sono dipinto.

Un giorno, quando non ci sarò più, mi piacerebbe che di me i miei figli serbassero di me il ricordo di una persona che ha scelto di essere fuori dal coro perché incapace di cantare le canzoni alla moda, quelle che poi vincono i festival. Ma forse sto fuori dai cori semplicemente perché non so cantare.

Più verosimilmente, la definizione più giusta di me la darà mia moglie Raffaella, il mio bastian contrario e ad un tempo la persona dalla quale ho avuto solidarietà infinita, per quanto immeritata. Magari anche lei, mi piace pensarlo, prenderà a prestito le parole della stessa protagonista femminile di “Giuda”, che a proposito del padre afferma ancora: “Era una persona solitaria, tutta presa da se stessa, estremista. Un fanatico, era. Un punto esclamativo ambulante. La famiglia non era roba per lui. Forse era destinato a fare l’eremita”.

Mi scuso con tutti se l’ho scoperto troppo tardi.

Ma non è mai troppo tardi. Dal mio eremo è tutto.

Post Scriptum: C’è un libro più importante di quelli già letti, ed è quello che si sta leggendo. Io, in questo momento, sto leggendo “Il libro di Dio” di Walter Wangerin, “Il libro di Dio”: il racconto della Bibbia con la forma di un romanzo. Cioè il racconto di un lungo viaggio che trova la sua meta in una resurrezione. C’è poi un libro ancora più importante di quelli letti e di quello che si sta leggendo: quello che ci sta aspettando per essere letto.

Mentre leggevo Fahrenheit “451” non sapevo che dopo avrei letto “Il bordo vertiginoso delle cose”, e mentre leggevo quest’ultimo ignoravo che quello successivo sarebbe stato “Giuda”. Più di tutto, non potevo sapere che questi tre libri fossero legati fra loro e tutti e tre avessero a che fare con ciò che in quegli stessi mesi teneva occupata la mia attenzione e riempiva il mio tempo e che accadeva in un luogo del tutto estraneo ai luoghi dei racconti. Oggi, non ho la più pallida idea di quale sarà il prossimo libro che leggerò.


 [u1]

2021

Pensò fosse un incubo. «Tu vai all’Inferno», gli disse Dio. Aprì gli occhi: era vivo nel suo letto. Ma non aveva sognato. Ora conosceva la dannazione: Dio lo aveva giudicato. «Come si esce dall’Inferno? Con la morte?», urlò. E capì la resurrezione. Corse fuori, respirò l’aria ora pulita. Vide la gente abbracciarsi dopo tanto tempo, sopra ogni altra cosa vide i sorrisi, non più imprigionati da maschere di paura. Ripensò a quell’incubo: troppo reale per essere una proiezione di suggestioni e paure ancestrali. Aveva visto davvero Dio? Rifletté confuso: “Sono stato condannato? Sono risorto?”. «Te Deum», disse in un sospiro.

Appalti a Pratola Serra. La proposta ignorata.

Riporto di seguito una nota pubblicata nel 2009 su Facebook riguardante la proposta avanzata dalla componente di “Terra Nuova” proveniente dall’esperienza politico-amministrativa de “L’alternativa”.

La bozza di delibera consegnata all’allora sindaco Antonio Aufiero riprendeva integralmente i contenuti di una lettera da me inviata qualche mese prima al sindaco, al vicesindaco e alla capogruppo di “Terra Nuova” con la quale indicavo i temi sui quali superare lo stallo creatosi proprio in materia di appalti, lavori pubblici e conduzione dell’ufficio tecnico comunale. In considerazione dei contrasti su questi temi tra lo stesso sindaco e il vicesindaco Gerardo Galdo (tra l’altro titolare delle deleghe su Urbanistica e Lavori pubblici), offrivo la mia disponibilità ad assumere a titolo gratuito il ruolo di assessore ai Lavori pubblici (confermando Gerardo Galdo vicesindaco), prevedendo nell’incarico anche la dirigenza dell’Ufficio tecnico, da svolgere anch’essa gratuitamente: impegno subordinato all’accettazione e attuazione di precisi obiettivi politici e amministrativi.

Dopo il diniego da parte del sindaco, si scelse la strada della predisposizione di uno schema di delibera – incentrata sugli stessi punti programmatici della lettera – da far approvare prima in giunta e poi in Consiglio comunale.

QUESTO IL TESTO INTEGRALE DELLA NOTA PUBBLICATA SU FACEBOOK.

Lo scorso febbraio, il sindaco Aufiero mi chiese di scrivere una bozza di delibera, da far approvare prima in giunta e poi in consiglio, per disciplinare la materia dei lavori pubblici e degli appalti, con particolare riferimento ai temi della legalità e della sicurezza sui cantieri. Tale bozza, avallata dall’assessore ai lavori Pubblici Gerardo Galdo, non è mai stata portata in discussione. Visto che il sindaco ha ritenuto di menzionarmi in un suo soliloquio durante l’ultimo consiglio comunale, lo invito a confrontarsi pubblicamente con il sottoscritto sui contenuti della bozza di delibera, casomai aggiungendo un altro tema: la revisione, in senso più favorevole per gli utenti pratolani, della convenzione per la gestione degli impianti sportivi (anche alla luce dei 400mila euro di nuovi mutui che l’ultimo bilancio ha previsto per il miglioramento degli impianti), non escludendo la possibilità che l’amministrazione gestisca direttamente gli impianti, riducendo il costo di accesso alle strutture e prevedendo condizioni di favore per le società sportive, le associazioni, i bambini e i giovani di Pratola Serra.


Bozza di delibera

LA GIUNTA COMUNALE DI PRATOLA SERRA

PREMESSA

la necessità ed urgenza di riservare una particolare attenzione ai problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso lo sviluppo e la diffusione della cultura della legalità, la cui assenza è la principale causa degli infortuni e delle diffuse illegalità in ordine alle norme che sovrintendono al corretto utilizzo di manodopera, nonché alla sua corretta ed adeguata formazione e specializzazione, e per contrastare i tentativi di inquinamento del mercato da parte delle organizzazioni malavitose o di qualunque altro soggetto che si prefigge lo scopo di utilizzare i lavori pubblici quale leva discorsiva del libero mercato e della libera concorrenza;
RITENUTO

Che il lavoro nero e l’evasione contributiva costituiscono un fattore distorsivo del mercato delle costruzioni, con effetti destrutturanti nel tessuto economico e produttivo ed incidono negativamente sulla qualità e sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche;

Che tutti i componenti dell’Osservatorio sui Lavori Pubblici, sugli Appalti e sulla Legalità” sottoscrittori del protocollo d’intesa che istituisce l’Osservatorio, nell’ambito delle rispettive funzioni istituzionali, sono mossi dal comune intento di favorire lo sviluppo delle nostre comunità, promuovendo ogni iniziativa volta alla implementazione delle infrastrutture necessarie alla crescita economica del territorio , al fine di migliorare la vivibilità e nel contempo di agevolare la crescita dei livelli di occupazione delle maestranze locali;
PRESO ATTO
delle lodevoli e similari iniziative messe in campo da altri enti locali, a partire dal Settore Lavori Pubblici dell’Amministrazione provinciale di Avellino;

CONVINTA

che per raggiungere gli scopi sopra evidenziati sono indispensabili:
– una sinergia tra l’Amministrazione comunale, il sistema rappresentativo delle imprese e dei lavoratori delle costruzioni;
– un proficuo rapporto di collaborazione scambio di informazioni con tutti i soggetti, istituzionali o a gestione bilaterale tra organizzazioni firmatarie di contrattazione nazionale, impegnati nelle azioni di prevenzione e controllo rispetto a comportamenti illegali o illeciti in materia di aggiudicazione di gare di appalto e di corretta esecuzione dei lavori pubblici o di quei lavori anche parzialmente finanziati da denaro pubblico;

Vista la consolidata e fattiva collaborazione tra l’Associazione Costruttori Edili della provincia di Avellino, le Organizzazioni Sindacali della categoria dell’edilizia irpine anche attraverso le attività e le iniziative degli enti bilaterali (Cassa Edile e Centro per la Formazione e la Sicurezza) gestiti dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e del sistema delle imprese firmatarie di contrattazione collettiva nazionale, al fine di garantire la corretta applicazione della vigente normativa in materia di lavori pubblici,

CONVIENE

1. Le premesse si intendono parte integrante della presente deliberazione;

2. Di avviare una politica, d’intesa con i soggetto in seguito specificati e con gli scopi e le modalità indicati in premessa e successivamente, volta alla lotta del lavoro sommerso ,anche con il concorso della Cassa Edile attraverso strumenti di controllo e osservazione del settore da definirsi con apposito protocollo, ed alla eliminazione dai luoghi di lavoro di tutte le situazioni che non assicurano ai lavoratori lo svolgimento della propria attività in condizioni di assoluta sicurezza con il concorso del Centro per la Formazione e la Sicurezza della provincia di Avellino – C.F.S.- da definirsi con apposita convenzione operativa;

3. Di favorire la corretta attuazione della Legge n. 248 del 4 agosto 2006 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”, e in particolare dell’art. 36 bis che detta una serie di misure per contrastare il lavoro sommerso e per promuovere la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro;

4. Di mettere in campo ogni utile iniziativa volta ad accelerare l’iter attuativo di programmi, progetti, interventi concernenti la realizzazione di opere pubbliche e infrastrutturali anche attraverso la realizzazione di tavoli tecnici di confronto con la Provincia, la Regione ed il Ministero delle infrastrutture;

5. Di tutelare le imprese che operano nella legalità e a combattere fenomeni di criminalità che inficiano i principi fondamentali della professionalità, della concorrenza, della trasparenza del mercato.

6. Di istituire l’Osservatorio sui Lavori Pubblici, sugli Appalti e sulla Legalità” finalizzato ad attuare gli scopi previsti dalla presente delibera.
In particolare, il predetto Osservatorio sarà periodicamente o specificamente convocato dall’Amministrazione comunale nella fase di avvio dei più rilevanti appalti, o a seguito della procedura di aggiudicazione e nella fase di esecuzione degli stessi con la presenza dei sottoscrittori e delle imprese interessate, nonché nella fase di adozione o di variante degli strumenti urbanistici.


7. Sulla necessità che l’Amministrazione Comunale adotti ogni utile iniziativa volta a superare i ritardi nell’espletamento delle gare d’appalto al fine di consentire alle imprese di poter valutare l’opportunità o meno di partecipare ad altre gare che, nel frattempo, sono indette dalla Stessa Amministrazione o da altre stazioni appaltanti e quindi di poter adeguatamente programmare la propria attività lavorativa, nonché sulla necessità di agevolare la presenza delle imprese stesse all’espletamento delle predette gare mediante la predisposizione e l’aggiornamento tempestivo di un calendario di gare da rendere pubblico sul proprio sito internet.

Sulla necessità che l’Amministrazione Provinciale adotti ogni utile iniziativa volta ad agevolare la presa visione degli elaborati progettuali da parte delle imprese che intendono partecipare alle gare d’appalto ed il conseguente ritiro,

ISTITUISCE

l’Osservatorio sulla Programmazione Urbanistica, sui Lavori Pubblici, sugli Appalti e sulla Legalità del Comune di Pratola Serra.

L’Osservatorio Comunale svolge i seguenti compiti ed ha le seguenti finalità:
– rileva e raccoglie informazioni e dati statistici sulle modalità dì esecuzione e sui risultati degli appalti di lavori e sul rispetto delle disposizioni vigenti in materia di subappalto, di contrattazione collettiva e di prevenzione degli infortuni;
– attiva, gestisce ed aggiorna una banca dati per il monitoraggio dei lavori e delle opere pubbliche eseguiti nel territorio comunale;
– promuove attività di indirizzo e regolazione, anche cooperando con altri enti locali o istituzionali, nonché con i singoli enti, associazioni ed istituzioni che compongono l’Osservatorio;
– promuove attività dirette alla formazione ed alla qualificazione del personale interno (dipendenti comunali ed amministratori) ed esterno (progettisti, direttori dei lavori, ecc.) del quale si avvale l’Amministrazione Comunale nell’attività di programmazione, definizione, progettazione, esecuzione e controllo sulle seguenti materie:
1. programmazione urbanistica e redazione del Piano Annuale e Triennale delle Opere Pubbliche;
2. definizione e controllo delle procedure di aggiudicazione delle gare di appalto;
3. collaborazione con l’Ente per tutte le attività di cui alla vigente legge sui lavori pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza e ad ogni adempimento previsto dalla Contrattazione Collettiva Nazionale
4. realizza studi e ricerche, organizza convegni, acquisisce e diffonde documentazione tecnica e dati, di concerto con altri enti locali o istituzionali, nonché con i singoli enti, associazioni ed istituzioni che compongono l’Osservatorio; relativamente a:
a) diffusione della cultura della legalità e della sicurezza con particolare riferimento: all’acquisizione, soprattutto fra le giovani generazioni, di una cultura d’impresa in un libero mercato garantito da leggi e controlli in ordine alla correttezza, alla trasparenza, al rifiuto di ogni infiltrazione della criminalità organizzata e di ogni pratica illegale in tutte le attività economiche pubbliche e private.
b) Alla realizzazione di buone pratiche amministrative che preservino il territorio da ogni contaminazione, sia essa culturale o di comportamenti diffusi, e da ogni infiltrazione, palese o latente, della cultura e di ogni condizionamento da parte della criminalità organizzata o di tentativi comunque posti in essere sia
c) aggirare le libere determinazioni dei soggetti istituzionali eletti democraticamente dagli elettori per corrispondere alle esigenze di sviluppo e di sicurezza, nella legalità e nella trasparenza, della comunità,
d) alterare la libera concorrenza fra imprese aggirando le norme in materia di appalti e lavori pubblici mediante l’uso indiscriminato dei ribassi d’asta, l’utilizzo di manodopera irregolare o di materie prime di scarsa qualità, o anche mediante la presentazione di certificazioni e di Documenti Unici di Regolarità Contributiva rilasciati con modalità che eludono il controllo sulla veridicità dei dati al momento dell’aggiudicazione della gara, o attraverso altre procedure che tendono a forzare lo spirito delle norme, che invece intendono restituire ai procedimenti amministrativi i crismi della regolarità, della trasparenza e della libera e corretta concorrenza fra imprese.
– assicura le attività necessarie per il funzionamento del sito informatico dedicato, dall’Amministrazione Comunale alla pubblicizzazione delle gare di appalto per la pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara;
– espleta attività finalizzate agli approfondimenti ed all’uniformità degli indirizzi interpretativi in materia di lavori pubblici;
– promuove le opportune iniziative, ivi compreso l’intervento ispettivo attraverso le competenti strutture provinciali, qualora sulla base delle risultanze comunque acquisite emergano insufficienze, ritardi, anche nell’espletamento delle gare, disservizi ed ogni altra anomalia connessa alla regolare esecuzione dei lavori e all’utilizzo di manodopera irregolare o non correttamente formata e qualificata;
– trasmette annualmente alla Prefettura una relazione sull’andamento del settore dei lavori pubblici, delle forniture e dei servizi, nonché di ogni altro lavoro finanziato, parzialmente o totalmente, con denaro pubblico;
– gestisce la formazione dell’Albo delle Imprese di fiducia per l’affidamento dei lavori mediante cottimo-appalto o procedure di somma urgenza;
– dà pubblicità ai programmi e agli avvisi per Project Financing.
e) Esegue, anche mediante convenzioni con singoli componenti dell’Ossservatorio, controlli quotidiani,nonché anche successivi all’ultimazione ei lavori, su tutti i lavori pubblici o comunque finanziati, parzialmente o totalmente, con denaro pubblico, nonché sulle strutture di proprietà dell’ente, controlli di merito rispetto alla qualità dei lavori eseguiti e al rispetto delle norme durante l’esecuzione dei lavori, nonché in merito alla sussistenza di tutti i requisiti di legge in ordine alla sicurezza per gli utenti e al corretto utilizzo delle strutture stesse relativamente alla destinazione d’uso.
f) Esegue, di concerto con l’Ente, attività di vigilanza su tutti i contratti e le convenzioni stipulati dal Comune di Pratola Serra.
g) Promuove e cura il perfezionamento di Protocolli d’Intesa con altri enti locali,soggetti istituzionali,nonché singoli componenti dell’Osservatorio stesso per perseguire e garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’Osservatorio stesso.
h) L’Osservatorio è presieduto dal Sindaco del Comune di Pratola Serra o da un suo delegato ed è composto:
1) dall’Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Pratola Serra;
2) dal Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale di Pratola Serra o suo delegato;
3) dal Dirigente Affari Generali e Istituzionali del Comune di Pratola Serra o suo delegato;
4) dal Dirigente Lavori Pubblici dell’Amministrazione provinciale di Avellino o suo delegato;
5) dal Dirigente della Plolizia Municipale del Comune di Pratola Serra o suo delegato;
6) dal Direttore Generale dell’ASLAvellino 2 di Avellino o suo delegato;
7) dal Prefetto di Avellino o suo delegato
8) dal Questore di Avellino o suo delegato;
9) dal Comandante del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Avellino o suo delegato;
10) dal Comandante del Comando provinciale dei Carabinieri di Avellino o suo delegato
11) dal Direttore provinciale dell’Inps di Avellino o suo delegato;
12) dal Direttore provinciale dell’Inail di Avellino o suo delegato;
13) dal Direttore provinciale dell’Ispettorato del Lavoro di Avellino o suo delegato;
14) dal Direttore della Cassa Edile di Avellino o suo delegato;
15) dal Direttore del Centro Formazione Sicurezza di Avellino o suo delegato;
16) dal Presidente dell’Associazione Costruttori Edili (Ance) di Avellino o suo delegato;
17) dal Segretario Generale della Feneal-Uil di Avellino o suo delegato;
18) dal Segretario Generale della Filca-Cisl di Avellino o suo delegato;
19) dal Segretario Generale della Fillea-Cgil di Avellino o suo delegato;
dal Presidnte provinciale di Avellino o suo delegato dell’Associazione “Libera- associazioni,nomi e numeri contro le mafie” fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti e Rita Borsellino con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia in seguito alle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio.

LA BOZZA DI DELIBERA NON FU MAI PORTATA IN DISCUSSIONE IN GIUNTA E NEMMENO POSTA ALL’ATTENZIONE DEL GRUPPO CONSILIARE DI “TERRA NUOVA”.

Un elemento illuminante in relazione alla recente inchiesta della Procura della Repubblica di Avellino sugli appalti pubblici a Pratola Serra e lo scioglimento del Consiglio comunale per condizionamenti da parte della criminalità organizzata.

Francesco

Un palazzo in una città lontana, uomini con valigette scure, benefattrici remunerate, porpore con riflessi rosso vergogna. Sorrideva circondato da sorrisi che appena fuori dalla sua porta si sarebbero trasformati in ghigni.

La voce gli disse di guardare dentro le valigie: si sentì sconfitto, non sorpreso. Chiamò l’amico perduto e lesse la sfida nei suoi occhi: ne fu sorpreso ma non si sentì sconfitto.

Non si illudeva. Gli uomini con le valigette sarebbero tornati con le benefattrici remunerate. Lui, invece, sarebbe passato. Solo chi aveva servito annaspando nel fango e rialzandosi con la tonaca miracolosamente bianca sarebbe rimasto. Talità kum.

I ragazzi pratolani pagano il prezzo di guerre e sogni altrui.

Aver rimandato di qualche giorno l’inizio delle lezioni è una scelta sicuramente condivisibile, ma anche la prova provata di una situazione di oggettiva difficoltà, oltre che l’ennesimo capitolo di una guerra ormai totale tra i due sindaci e la preside.

Non mi capita spesso di essere d’accordo con il gruppo di minoranza ma apprezzo questa seppur tardiva presa di posizione, anche se la critica da muovere agli amministratori di maggioranza non è tanto quella di non essersi organizzati perché ” impegnati ad inseguire un sogno” quanto quella di essere stati inerti anche sei mesi prima delle elezioni.

Ma questa è un’obiezione che vale anche per l’opposizione, in quanto non è sufficiente ricordare che a settembre bisognava riaprire la scuola, magari serviva avanzare (a marzo, però) qualche proposta sulla migliore sistemazione possibile per alunni e personale scolastico.

L’idea di mandare tutti a Tufo, atteso che una parte dell’edificio è occupato dagli uffici comunali e quindi si sarebbero esposti i bambini a rischi che qui q Pratola non corrono, è come buttare la palla in tribuna invece di giocare.

Forse  pure la minoranza era impegnata a portare acqua al solito mulino che con il nostro paese non ha nulla  a che fare.

Eppure gli esponenti dell’opposizione – che per l’ennesima volta festeggiano successi elettorali altrui – non dovrebbero essere nel medesimo stato confusionale in cui si trova chi, inseguendo legittimamente un sogno, si trova ora costretto a fare i conti con la realtà.

Al di là di tutto, resta il problema irrisolto (per la scuola elementare da quattro anni) dell’adeguata sistemazione delle aule, soprattutto alla luce delle disposizioni anti-Covid. Aver rimandato di qualche giorno l’inizio delle lezioni è una scelta sicuramente condivisibile, ma anche la prova provata di una situazione di oggettiva difficoltà, oltre che l’ennesimo capitolo di una guerra ormai totale tra i due sindaci e la preside. Della serie: c’eravamo tanti amati, tra brindisi a base di champagne e nastri tagliati.

Ma non possono essere i ragazzi a pagare il conto di questo scaricabarile che dura da mesi.