Pio XII, Hitler, l’Irpinia

Pio XII, Hitler, l’Irpinia

Il complesso dell’Abbazia di Montevergine negli anni della Seconda guerra mondiale

L’ultima puntata di Atlantide, su La7, ha riproposto il tema del rapporto tra Pio XII e il nazifascismo alla luce dei nuovi studi e di documenti inediti resi disponibili e acquisibili dall’apertura agli storici di quello che fu l’Archivio segreto vaticano. Ho trovato lo speciale preparato da Andrea Purgatori severo ma allo stesso tempo onesto, documentato ma anche ricco di suggestioni. Non è la prima volta che – non per vantarmi di alcunché, non ce n’è davvero motivo – ricordo a chi mi segue di aver affrontato la questione nel mio primo romanzo, pubblicato nel 2010 e oggi disponibile su Amazon con il titolo “Il Codice Tiziano”.

 

Non è mia intenzione proporre una mia tesi sui “silenzi” di papa Pacelli sulla Shoah e sulla sua attività a favore degli ebrei o suggerire un’interpretazione degli stessi: perché non sono uno storico e un romanzo è semplicemente una storia di fantasia, per quanto possa essere collocata entro una cornice di fatti storici realmente accaduti, far riferimento a personaggi davvero esistiti e ambientata in luoghi reali.

Propongo quindi qualche flash emerso dal programma collegandolo alla storia che ho scritto.

La dottrina nazista – è stato sottolineato da uno degli storici intervistati – riteneva che Gesù non fosse nato in Palestina, altrimenti sarebbe stato un ebreo, ma in qualche luogo inesplorato del Nord. Per Nord è evidentemente da intendersi il Nord Europa, patria della razza ariana: è un elemento interessante perché nella mia storia attribuisco a Hitler un piano per ribaltare l’esito della guerra, ormai segnato a sfavore della Germania, proprio introducendo nella contesa un elemento “divino”.

Per fare questo, nel mio romanzo, Hitler ha bisogno che il Papa sparisca, venga rapito e deportato: la storia che ho scritto riconduce questa mossa disperata proprio a un piano nazista per rapire Pio XII di cui s’è sempre parlato – denominato Operazione Rabat – e di cui si è molto discusso anche nella puntata di Atlantide. La vera ragione di questo articolo non è tanto la mia “scommessa” su Pio XII – che in effetti si adoperò per salvare le vite di tanti ebrei pur nell’eccessiva prudenza, sconfinata nell’ambiguità, della sua posizione rispetto al Nazismo e alla deportazione di milioni di persone innocenti – né la mia scelta narrativa di chiamare in causa il diavolo non come metafora ma come persona reale che agisce con mezzi e sembianze umani. Confesso che ho provato una certa emozione quando uno degli storici interpellati, Guy Walters, ha definito Roma come il campo di battaglia tra il diavolo e il papa, oppure quando di Hitler è stato detto che provava un “satanico gusto” a fare del male.

No, la ragione di questo nuovo “spot” per il mio romanzo è l’Irpinia, l’amore per la mia terra, il senso di impotenza che provo quando misuro l’indifferenza dei miei conterranei – soprattutto coloro che avrebbero il dovere di valorizzarne la Storia e i luoghi – rispetto al grande patrimonio di avvenimenti, personaggi e siti che nel corso dei secoli sono entrati nella grande Storia umana.

Il mio romanzo scommette anche su questo: l’Irpinia e il suo ruolo, incredibilmente e inspiegabilmente centrale, in quello che poteva essere un ribaltamento delle sorti del secondo conflitto mondiale. Non c’è l’Irpinia con il suo nome e luoghi chiaramente indicati nel mio romanzo, perché non si possono attribuire a comunità e personaggi che hanno avuto i ruoli che nella storia di fantasia hanno altri nomi e profili umani, azioni e responsabilità di comportamenti delittuosi, solo perché la struttura narrativa richiede di personificare il “diavolo” anche nella quotidianità delle vicende minime di luoghi ai margini della grande storia. Ma il Santuario di Montevergine è lì, riconoscibile per quanto “camuffato” alla bisogna, e l’Irpinia è lì, perché nella telegrafica nota introduttiva lo affermo esplicitamente quando scrivo che “l’Irpinia è il microcosmo di riferimento”.

La mappa dei luoghi di fantasia, riconducibili all’Irpinia, del romanzo “Il Codice Tiziano”. Il Santuario del Santo Sepolcro richiama il Santuario di Montevergine

Tornando alla puntata di Atlantide intitolata “Vatican War”, a un certo punto si è citato uno degli uomini più potenti del Terzo Reich, il ministro della propaganda Paul Joseph Goebbels: il gerarca nazista ebbe a dire che “il Führer è inesorabilmente determinato ad annientare le chiese cristiane dopo la vittoria”: un elemento essenziale del mio romanzo, quello della lotta tra il diavolo e il Papa, tra Nazismo e Cristianesimo. Ma il colpo di scena riguarda una circostanza che apparentemente ha poco a che fare con la guerra e la Shoah, con gli sforzi prodotti in quel momento da Hitler e da Pio XII; a un certo punto la trasmissione di Purgatori fa infatti riferimento a reperti archeologici emersi nella Basilica di San Pietro proprio durante il pontificato di Pio XII e tenuti segreti dal pontefice; a tal proposito si rivela che Hitler aveva l’obiettivo di “prendere i tesori in Vaticano che riguardavano la Germania”.

Ma cosa poteva mai esserci, in Vaticano, che riguardava la Germania?

E qui il mio romanzo, senza che ne sapessi nulla o potessi immaginarlo mentre lo scrivevo, tra la fine del 2008 e i primi mesi del 2010, potrebbe dare una possibile risposta a quello che viceversa, a considerare le intenzioni di Hitler, non può che restare un mistero, per quanto alcune “tracce”, richiamate nel romanzo perché hanno fondamento storico, siano rimaste. E qui entra prepotentemente in scena l’Irpinia, l’abbazia di Montevergine e la storia “nascosta” di una terra che ha poca considerazione di se stessa e degli uomini che qui hanno vissuto e operato. Ed è una coincidenza che ce lo spiega. Verso la fine del programma viene mostrato un documento inedito firmato da rabbino capo di Palestina che ringrazia Pio XII per l’opera di assistenza e salvataggio di tanti perseguitati ebrei. Il documento cita un religioso, l’abate Ramiro Marcone, che ha legato indissolubilmente il suo nome proprio a Montevergine e alla comunità monastica dei benedettini che nel mio romanzo “salva” ciò che forse Hitler cercava, ma credo che il forse possa essere tranquillamente eliminato.

Ramiro Marcone, durante la guerra, era proprio l’abate di Montevergine, un santuario situato su una montagna del Sud in una terra dimenticata se non da Dio sicuramente dagli uomini, che viene incredibilmente scelto per “salvare” quella che forse è la reliquia più preziosa del Cristianesimo: un oggetto fatto anche di sangue, ed era forse una linea di sangue – il Gesù non ebreo e forse ariano? – quella che Hitler cercava per cambiare le sorti ormai segnate di una guerra che aveva iniziato con intenzioni e obiettivi attribuibili solo a una figura demoniaca.

Può capitare di tirare a casaccio e fare centro; mi piace pensare che con “Il Codice Tiziano” a me sia capitato esattamente questo.

Quella di Atlantide è storia vera, documentata; la mia è una storia che pone la fantasia in un intreccio e uno scenario storicamente reali: magari non lo sapevo ma sono andato vicino a una qualche verità, di sicuro l’Irpinia avrebbe bisogno di conoscere questo suo pezzo di storia che s’intreccia con la grande storia dell’umanità. Non attraverso il mio libro, che è poca cosa, ma sarebbe bello se qualcuno un giorno ci facesse un film o una serie Tv.