Cirillo, il terremoto e l’Irpinia

«Il rapporto tra Servizi Segreti e mafie è sicuramente alla base della loro impunità e del loro successo storico».

Così Isaia Sales, ex deputato e studioso delle mafie, sul Mattino di oggi nella riflessione svolta in merito alla trattativa poi passata alla storia come “caso Cirillo”.

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Come era prevedibile, la morte dell’esponente campano della Democrazia Cristiana ha riaperto il dibattito sulla mediazione della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo tra Brigate Rosse e Democrazia Cristiana che nel 1981 portò alla liberazione di Cirillo, rapito in un’azione sanguinosa dalle Br: un caso, appunto. O meglio: una pagina nera della storia della Repubblica Italiana. Il cedimento della Dc alle richieste dei terroristi è sempre stato accostato alla “linea della fermezza” adottata invece in occasione del rapimento, tre anni prima, del suo Presidente, l’on. Aldo Moro.

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Si badi: se per Moro le Br chiedevano la liberazione di alcuni brigatisti detenuti, per Cirillo chiedono soldi; tanti soldi. E sono proprio i soldi la chiave di volta per entrare nelle maglie di questo intrigo, di questo scandalo di Stato.

Siamo all’inizio del 1981: la Campania è stata da poco devastata da un terribile sisma, ed è già in corso un’altra trattativa sotterranea: quella per individuare i soggetti (politici, economici e  criminali) che dovranno gestire quell’immenso fiume di denaro. C’è un particolare che non è secondario sottolineare: quando viene rapito Ciro Cirillo è assessore regionale ai Lavori Pubblici, un ruolo strategico nel Risiko degli appalti della ricostruzione. Ricostruzione che consentirà a tanti soggetti di costruire le proprie fortune economiche, e ad altri di costruire quelle politiche.

Sempre sul Mattino di oggi, il giudice Carlo Alemi (l’allora procuratore della Repubblica che si occupò delle indagini sul rapimento e la liberazione di Cirillo) sottolinea altri due aspetti fondamentali della vicenda: da un lato quando afferma che non è stato «mai spiegato il capitolo degli appalti garantiti alla camorra», e dall’altro quando ricorda che nel corso dei processi sul rapimento e la liberazione di Cirillo, salta fuori il nome di un’azienda trentina che proprio nei mesi della “trattativa” sta allestendo in Irpinia i prefabbricati pesanti. Secondo più di un sussurro i soldi del riscatto per Cirillo (che dopo la liberazione si dimetterà e chiuderà la sua carriera politica) sarebbero partiti proprio dall’Irpinia, e sarebbero proprio parte dei soldi della primissima fase della gestione dell’emergenza del dopo terremoto.

Nel 1998, all’inizio della mia esperienza giornalistica, l’allora sindaco di Solofra Aniello De Chiara (morto suicida di lì a poco per ragioni mai del tutto chiarite) mi disse a taccuini chiusi che per avere informazioni certe sul transito del miliardo e mezzo circa di lire dall’Irpinia alle Br bisognava rivolgersi a un esponente politico di spicco della Dc, un irpino.

Me ne fece il nome, ovviamente. Quel che è certo, nomi o no, è che l’ascesa del cosiddetto “clan degli avellinesi” nella Democrazia Cristiana e nelle Istituzioni del Paese comincia proprio in coincidenza con quei fatti e parallelamente alla ricostruzione.

I rapporti malsani tra servizi segreti, malapolitica e criminalità organizzata (mafia, camorra, e banda della Magliana su tutte) e i soldi della ricostruzione sono il filo rosso che unisce le vicende che ho provato a raccontare nel mio romanzo “Le divergenze perpendicolari”, ambientato ai giorni nostri proprio tra l’Irpinia e Napoli.

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Perché, come dissi al Procuratore distrettuale Antimafia Francesco Soviero  quando lo invitai a partecipare alla presentazione del romanzo ad Avellino, «certe cose possono essere scritte solo in un romanzo».

Perché sono certo che le ricadute di quel patto scellerato producono effetti nefasti ancora oggi nelle comunità irpine: dal comune capoluogo alle più piccole realtà della provincia.

E’ la gestione del potere, bellezza, e noi non possiamo farci nulla.